379. Transitare (25.03.2012)

 

 

 

 

 Pensiero della settimana n. 379

 

 Riferirsi alla Bibbia partendo dalla cronaca è operazione per la massima parte dei casi ambigua, se non deleteria. Essa può venir proposta, in modo positivo, soltanto come pretesto e a volte come un’operazione di poco superiore a una “libera associazione”. In altre parole,  l’accadere di alcuni eventi è in grado, per vie non di rado imprevedibili, di favorire una miglior comprensione di alcuni passi biblici.

In Italia ci si sta scontrando  sulla TAV. Il dibattito – quando non trascende la sfera linguistica – da entrambe le parti è dominato dall’ideologia. Marco Revelli ha opportunamente rilevato che in questo caso neppure il “governo dei tecnici” (che, in realtà, tale non è) parla un linguaggio confacente alla sua definizione. Non è lecito speculare troppo su una dichiarazione occasionale; tuttavia restano sintomatiche, in proposito, alcune parole di Mario Monti (retoricamente giocate su una non avvertita contraddizione tra un’immagine di lentezza e una repentina) che prospettano come sciagura ciò che per secoli è apparsa la collocazione più propria dell’Italia: la sua vocazione mediterranea. L’attuale presidente del consiglio  ha dichiarato che la TAV  in Val di Susa “s’ha da fare”: «altrimenti bisogna prendersi la responsabilità di lasciare lentamente la penisola italiana slittare in un tuffo nel Mediterraneo, in un distacco dall’Europa».

Anche mettendo tra parentesi il discorso sui danni ambientali, rimane difficile spiegare la fatidica rilevanza affidata a questo unico valico. Forse che il Brennero è meno strategico? Perché non si investe con altrettanta determinazione sul valico principe che ci dischiude l’area tedesca? E perché non si propongono forti investimenti infrastrutturali nella direzione dell’altra sponda adriatica che fu di Venezia e verso cui, specie nella zona più meridionale, si stanno dislocando (non senza forti ripercussioni interne) parecchi investimenti industriali italiani? Dei quattro punti cardinali pare che conti solo l’ovest, cioè quello melanconicamente collegato all’idea di tramonto.

Essere terre di transito è un bene o un male?  La risposta varia a seconda delle circostanze, dei luoghi e delle epoche, ma è fuori di dubbio che, pure in prospettiva economica,  l’esito, in determinate occasioni, è positivo. In ogni caso il discorso più profondo si situa a livello culturale. Grande al riguardo è il ruolo delle terre che fungono da collegamento tra civiltà. La speranza (o forse l’utopia) è che questi transiti, nella storia, spesso posti sotto il segno dello scontro, si trasformino in luoghi di incontro. Colta sotto questa angolatura storia e geopolitica indicherebbero per l’Italia il compito di essere terra di raccordo tra l’Europa e il Mediterraneo.

Nel libro di Isaia vi è un unicum rispetto a tutto il resto della Scrittura. In quel brano  la benedizione riservata all’avvenire non si dà sotto la forma di pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme; al contrario, la terra d’Israele è lì presentata come luogo di transito e proprio in ciò sta la realizzazione della sua vocazione più profonda. Il suo trovarsi nel mezzo diviene occasione di riconciliazione tra le due grandi potenze collocate agli estremi opposti del suo territorio: da un lato l’Egitto e dall’altro la Assiria. Certo tutto ciò avverrà «in quel giorno»; espressione classica per indicare l’epoca della realizzazione del messaggio profetico.

«In quel giorno ci sarà una via di comunicazione [mislach “strada” battuta, pubblica[i]], tra l’Egitto e l’Assiria e l’Assiria verrà in Egitto e l’Egitto in Assiria e l’Egitto con l’Assiria renderanno culto. In quel giorno Israele sarà il terzo tra Egitto e Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore delle schiere dicendo: “Sia benedetto l’Egitto mio popolo, l’Assiria opera delle mie mani, Israele mia eredità”» (Is 19, 24-25).

«In mezzo alla terra (beqerev ha-’arez)», la traduzione è corretta; eppure il suo senso sembra esprimersi meglio con una resa un po’ più libera: «nella terra di mezzo». Israele, sottaciuto nel primo verso, è il territorio che consente il transito.  Il piccolo popolo diviene, perciò,  il terzo, il mediatore che consente alle due grandi potenze in perenne lotta reciproca di riconciliarsi recandosi l’una nel territorio dell’altra. Israele è  la benedizione connessa al suo essere «terra di mezzo»; eppure va anche detto che l’accento batte non meno fortemente sul suo essere popolo. All’Egitto e all’Assiria sono riservati qualificazioni di norma riservate al popolo ebraico (rispettivamente «mio popolo» e «opera delle mie mani»), ma Israele è chiamato «mia eredità» (nechalà), termine non di rado riservato alla terra di Canaan. Le terre sono dotate di  non poco senso, ma coloro che le abitano hanno un significato ben maggiore.

Piero Stefani

 




[i] La radice sll ha il senso anche di appianare per preparare il terreno alla costruzione di una strada

379. Transitare (25.03.2012)ultima modifica: 2012-03-24T06:00:00+01:00da piero-stefani
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