546 – Misericordia e giustizia – Parte II – (13.12.2015)

Il pensiero della settimana n. 546

Faccio precedere la seconda e ultima parte della riflessione su “Misericordia e  giustizia” da un piccolo pensiero “giubilare”.

 Anno santo

     Inizio dell’Anno santo straordinario dedicato alla misericordia: l’apertura della porta santa a Bangui, capitale della povera e travagliata Repubblica centroafricana, ha evidenziato la paradossale centralità delle periferie sostenuta da Francesco; le elevatissime misure di sicurezza, la folla relativamente contenuta e scrupolosamente perquisita all’apertura della porta santa a San Pietro attestano il clima in cui a Roma si svolgerà il giubileo; il numero di persone, doppio rispetto al mattino, che ha assistito alla proiezione “ecologica” sulla facciata di San Pietro è la variante contemporanea del sottotitolo di un piccolo libro di Giovanni Miccoli: Anno santo. Un’ “invenzione” spettacolare (Carocci, Roma 2015).

 Misericordia e giustizia 
(Parte II)

       Nel  “Discorso della montagna” dopo la raccomandazione di non affannarsi per il domani si legge: «Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate invece il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,32-33). A cosa è riferito il sostantivo «giustizia»? Stando al testo greco non può riferirsi al regno (basileia è femminile, mentre autou – di lui – è maschile). Occorre ricercare il regno e la giustizia di lui (cfr. Lc 12,31), cioè di Dio, o meglio ancora del Padre. Bisogna ricercare qualcosa che non è frutto delle nostre azioni ma è una realtà a cui tendere, o meglio, in cui dobbiamo sperare.

   Cosa fa il Padre per essere preso come sommo, irraggiungibile eppur irrinunciabile esempio? «Ma io vi dico amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti […] Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste » (Mt 5,45-48). «Pregate   per coloro che vi perseguitano». Pensando alle Beatitudini, una nota è d’obbligo:  beati quando vi perseguiteranno a causa della giustizia se pregate per i vostri persecutori.

    Il Padre è perfetto perché  fa sorgere il suo sole su buoni e cattivi e fa piovere su giusti e ingiusti. Perché allora amare e pregare? Non si afferma che non ci sono più buoni e cattivi, giusti e ingiusti. La distinzione resta, anzi, in un certo senso, essa  viene addirittura rafforzata. Il Padre fa sorgere il sole e fa piovere, mentre  la creatura umana, sull’esempio di lui, ama e prega per non aver parte alla cattiveria e all’ingiustizia. Infatti rispondere al male con il male inquina la nostra anima e perciò attenua la distinzione tra buoni e cattivi. Gli ingiusti appaiono  ancora più tali quando negano la giustizia del Padre che fa piovere anche su di loro. Se tutto dipendesse dalla natura, il sole e la pioggia diverrebbero segni dell’indifferenza dell’ordine del mondo rispetto al mondo umano; se invece il sole e la pioggia sono del Padre essi si trasformano in espressioni di una giustizia non punitiva che si rifiuta di rispondere al male con il male. Essere perfetti come il Padre significa che non dobbiamo lasciare che l’ingiustizia entri in noi, ecco perché si è invitati ad amare nemici e persecutori.

     «Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia», vale a dire beati coloro che patiscono i morsi di quella fame, l’arsura di quella sete. Sono beati non perché mangiano e bevono ma perché hanno fame e hanno sete. Essi sono coloro che sanno quello che ci manca. I beati non sono giusti, sono coloro che cercano la giustizia. Sanno che il Padre è giusto ma che il mondo è ingiusto, non si rassegnano però a questa ingiustizia. Il quotidiano far sorgere il sole e far piovere visto come opera del Padre è caparra del regno. Agostino, adottando un «nos» non privo di ardimento (noi chi?) afferma: «Nos qui esurimus et sitium justitiam dicemus Deo: fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra» (PL:  3.4, 1232 e 38,365). Il Padre nostro è costituito da una serie di richiesta, tra esse vi è: «sia fatta la tua volontà». Il Padre fa sorgere il sole e fa piovere; tuttavia sulla terra la sua volontà non è ancora pienamente fatta. Si è chiamati perciò ad avere fame e sete di giustizia.

     Chi ha fame e sete di giustizia è irresistibilmente spinto a denunciare l’ingiustizia e la denuncia porta a subire persecuzioni. Si tratta di un nesso  intrinseco. Bisogna denunciare l’ingiustizia anche quando si sa che sul piano pratico immediato l’atto, lungi dal produrre mutamenti, suscita piuttosto persecuzioni. È una situazione dura non solo a motivo di quel che si subisce, ma pure per il fatto che la denuncia non porta al pentimento degli oppressori. L’ingiustizia inscritta nella realtà non è rimossa. Anzi il suo semplice essere stata suscita, come affermò  Primo Levi, vergogna nei giusti: un male è già stato inesorabilmente introdotto nel mondo e non si è riusciti a impedirlo.

     «Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3); «Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10). Si tratta della prima e dell’ottava Beatitudine (la nona è chiaramente un’ aggiunta esplicativa). Siamo davanti a una specie di inclusione, tra le due Beatitudini  ci è dato di scorgere delle affinità.  I perseguitati a causa della giustizia sono i poveri in spirito, coloro che possono contare solo sull’inerme povertà della parresia, cioè della parola limpida. Walter  Kasper stranamente afferma a proposito della prima Beatitudine: «i suoi destinatari erano in modo particolare i peccatori; essi sono i poveri in spirito».[1]  Non è interpretazione convincente. I giusti che abitano questo mondo non sono perfetti, proprio per questo motivo nelle Beatitudini non si parla di loro; ci si riferisce invece a chi aspira,  attende e cerca la giustizia, ma non si è  ancora davvero giusti. Si ha fame e sete di quanto non si ha; eppure i giusti imperfetti già ora contribuiscono alla  salvezza del mondo. I poveri in spirito  non sono i peccatori, sono coloro che vedono l’ingiustizia senza rassegnarsi a essa e  lo fanno anche  se sono consapevoli che la loro opera non sarà in grado di mutare radicalmente l’assetto del mondo. In questa consapevolezza sta la loro povertà, una condizione che, lungi dall’essere un ostacolo, addirittura li sospinge a dire: I care.

     È giusto che i malvagi siano salvati a causa dei giusti ed è ingiusto che i giusti siano travolti a causa dei malvagi. Questo è il senso etico profondo espresso nella lotta di Abramo davanti a Sodoma: «Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio: lontano da te! Forse che il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia»[2] (Gen 18,25).

   E i misericordiosi? «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia». In realtà nel testo non c’è il sostantivo, nell’uno e nell’altro caso si fa ricorso a forme del verbo eleaō. In italiano non c’è il verbo «misericordiare». L’andamento di questa Beatitudine lo si potrebbe esemplificare così: «Beati gli amanti perché saranno amati». Non compare una Beatitudine riservata a chi ha fame e sete di misericordia. La misericordia interumana è troppo asimmetrica per essere un modello a cui guardare in senso assoluto. C’è chi può aiutare e perdonare e chi sta nella penuria, si tratti di sofferenza, debolezza, povertà o colpa. Non è dato alle  due parti di scambiarsi i ruoli. La misericordia è parola seconda:  è una risposta (o un tentativo di risposta) a una situazione contraddistinta dalla mancanza. A quella domanda si può restare sordi come avvenne per il sacerdote e per il levita della parabola evangelica o, al contrario, si può darvi ascolto come fece il samaritano. Si tratta di una differenza capitale; tuttavia anche quando si presta aiuto non è comunque dato di superare la sperequazione di partenza.

     I misericordiosi devono trovare a loro volta misericordia. Non sono perfetti e non lo sono anche in virtù del loro stesso agire misericordioso; esso infatti non riesce a esprimere  un’identificazione piena con chi è nel bisogno;  del resto, se lo facesse, non sarebbe efficace nel soccorrere. Non è un paradosso affermare che i misericordiosi hanno bisogno di ricevere misericordia proprio in virtù del loro essere stati misericordiosi. Non è un gioco di parole, non è un denigrare chi compie il bene, è un affermare che il regno è posto all’insegna della giustizia del Padre, non della misericordia interumana. Di fronte alle sofferenze dell’altro non ci può essere identificazione piena. Non dovremmo cullarci nella soddisfazione di aver aiutato il nostro prossimo ma è inevitabile avvertire che «ti fa bene fare del bene», questo stato d’animo  rimarca l’esistenza di una insuperabile differenza. Occorre essere samaritano e non sacerdote o levita. Tuttavia anche il samaritano, che se ne va per la sua strada per svolgere i propri affari, ha bisogno di misericordia. È come quando si visita un malato in ospedale o una persona anziana in una casa di riposo, dopo un po’ si esce dalla porta. Si è obbligati a far così, ma noi ce ne andiamo e il malato resta nel suo letto e la persona anziana e impotente rimane all’ospizio. Per dirla con Lutero, siamo mendicanti davanti a Dio; essere misericordiosi significa essere bisognosi di misericordia. Non esaltiamo troppo la misericordia dimenticando il primato di una  giustizia intesa in senso ampio invece di essere ridotta al suo significato ristretto di punizione dei colpevoli.

     L’appello alla giustizia comporta un senso radicale di inaccettabilità del male; la misericordia invece è più indulgente verso il male che pur cerca di trasformare in altro. Forse è  per questo motivo che, in un certo senso, la giustizia appare più vera della misericordi (fermo restando che la giustizia è insidiata da tarlo del rigorismo o ancora peggio dalla drammatica contraddizione della punizione/vendetta, vale a dire dalla scelta di contraccambiare il male con il male).

     Giustizia e misericordia sono termini dotati di molteplici aspetti, solo in Dio le due facce diventano una. Per questo motivo ci è chiesto di guardare al Padre tanto secondo l’ottica della misericordia quanto secondo quella della giustizia. Sono due vie per giungere all’uno. Vanno percorse entrambe.

Piero Stefani

 

 

 

 


[1] W. Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo. Chiave della vita cristiana, Queriniana 20156, p 103.

[2] Qui giustizia non è né zedaqah (che comprende l’atto di instaurare giusti rapporti con il prossimo), né din (che ha l’accezione di giustizia penale), ma è mishpat (giudizio, diritto, norma che ha a che fare con il retto governo).

546 – Misericordia e giustizia – Parte II – (13.12.2015)ultima modifica: 2015-12-12T09:00:52+01:00da piero-stefani
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Un pensiero su “546 – Misericordia e giustizia – Parte II – (13.12.2015)

  1. gentile Piero
    non sono d’accordo sulla supremazia della giustizia sulla misericordia. ancora una volta torniamo alla logica (mi permetta, perversa) dell’incapacità di uscire dalla propria volontà di fare la giustizia (sempre la ‘mia’ …) e di imporla sugli altri. versione inevitabile della volontà di potenza.
    la misericordia invece, quella praticata e quella ricevuta, implica l’uscita dal circolo egolatrico e l’esposizione a una pratica concreta di carità che stana e progressivamente libera dallè ‘mie prigioni’.
    con stima

    sb

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