257 – Capovolgimenti (05.07.09)

Il pensiero della settimana  n. 257 

 

L’agricoltura ha sempre avuto a che fare coi  bisogni e  col mercato e quindi è sempre stata oggetto di riflessione da parte degli economisti. Non per nulla all’inizio della scienza economica moderna c’è la fisiocrazia, non meno della rendita marginale di David Ricardo. Anzi, quest’ultima ipotesi manteneva ferma la teoria valore-lavoro anche là dove la crescita delle messi dipendeva dal potere della natura. Tuttavia è ben  ipotizzabile che i contadini allora sapessero ben poco di questi ragionamenti. Certo conoscevano le regole locali che li riguardavano da vicino; ma probabilmente ignoravano i grandi dibattiti sull’abolizione delle corn laws. Il loro restava prevalentemente il tempo della natura e delle stagioni, non quello della storia e dei rapporti tra gli stati. Scrutavano il cielo, annusavano l’aria, versavano sudore sulla terra, ma non leggevano le gazzette.

Chi negli anni scorsi girava per le campagne ferraresi era sorpreso dal vedervi inediti campi di girasoli.  Meli e peri, grano e mais, barbabietole ed erba medica li aveva scorti da sempre; non così i grandi fiori gialli che splendono all’inizio dell’estate per diventare, con l’approssimarsi dell’autunno, scheletri scuri e rinsecchiti.  A seconda della sensibilità e dei ricordi allo spettatore potevano tornare in mente le distese russe viste in qualche film, i paesaggi o le cartoline della Toscana, i quadri di van Gogh. Quest’anno niente di tutto ciò. Se vede un girasole lo coglie solo isolato in qualche giardinetto; i campi, a perdita d’occhio, sono coltivati a grano, per lo più basso,  dalle reste lunghe e di un colore tendente alla ruggine.

Da un anno all’altro il paesaggio agrario è mutato radicalmente. Il cittadino non sa bene il perché. L’abitante della città, pur  non conoscendo la vera ragione, suppone  però che la scelta di seminare questo o quel prodotto sia dovuto a quote europee e a complicate forme di compensazione. Ipotizza ma non sa. Anche se aiutata o affogata dai concimi sono sempre la terra e l’acqua a far crescere le piante, ma immagina che sia la burocrazia di Bruxelles a decidere cosa va piantato a qualche chilometro da casa sua. Il cittadino può ignorare le gazzette e i regolamenti della UE, l’agricoltore no. L’essere esaltato dallo splendore del giallo o annoiato da piatte e uniforme distese di grano dipende da una burocrazia agricola a lui del tutto ignota. Si legge ogni tanto di qualche pedagogo che invita a condurre gli scolaretti in campagna per far vedere loro animali vivi diversi dai cani e dai gatti  e per osservare la frutta appesa agli alberi invece di scorgerla impachettata sui banconi degli ipermercati. Tutto giusto. Ma a un livello di scolarità maggiore si potrebbe portare gli studenti  per i campi per spiegare  loro che cos’è l’Unione Europea e come, da alcune sue decisioni, dipenda il  paesaggio agrario che intravedono, distratti, mentre vanno in superstrada verso il mare.

In una brillante lectio magistralis tenuta presso la Fondazione Gorrieri, il demografo Massimo Livi Bacci si è occupato della condizione giovanile[1]; alcune sue osservazioni, per quanto ben dette, erano attese, altre meno scontate. Tutti hanno presente la diminuzione dei tassi di natalità tipica del nostro paese, pochi si impegnano a cercarne a vasto raggio le cause. Tra esse vi è anche quella che, capovolgendo quanto avveniva un tempo, fa sì che le donne inserite in modo stabile nel mondo del lavoro siano più prolifiche di quelle  costrette a impegnarsi solo in attività domestiche. In effetti, quale famiglia monoreddito può, oggi, mantenere dei figli  e conformarsi, nel contempo, agli standard proposti e imposti dalla nostra società?  

  Nella situazione attuale la difesa della Costituzione repubblicana ha dalla sua molti meriti. Ciò, ovviamente, non toglie che in quella Carta ci siano molti articoli anacronistici,  tra essi si inserisce anche il seguente: «il lavoratore ha il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36) (che qui ci si riferisca a un lavoratore di sesso maschile è provato dal fatto che l’articolo successivo è dedicato alla donna lavoratrice).

Piero Stefani




[1] Cfr. Il Regno 12,2009, pp. 413-421

257 – Capovolgimenti (05.07.09)ultima modifica: 2009-07-04T08:35:00+02:00da piero-stefani
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Un pensiero su “257 – Capovolgimenti (05.07.09)

  1. Non mi sento di condividere la lettura degli articoli 36 e 37 Cost. Il secondo non è un minus rispetto al primo, ma aggiunge alcune garanzie a quelle previste dal’art. 36 per due categorie di lavoratori ritenute a ragione particolarmente vulnerabili: le donne e i minori. Quanto alla donne il primo comma fissa il principio dell’assoluta parità fra l’uomo e la donna relativamente ai diritti connessi all’attività lavorativa prestata, compreso il diritto alla retribuzione, che deve essere eguale a parità di lavoro. Tale principio è il logico svolgimento del divieto di discriminazione in ragione del sesso imposto dall’art. 3.1 Cost. Si tratta di pevisione tutt’altro che superflua, perché per le donne proprio il mondo del lavoro è stato e, in parte, continua ad essere, il luogo delle più inaccettabili discriminazioni.

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