250 – La trascendenza del grido (17.05.09)

Il pensiero della settimana, n. 250

 

«Noi partecipanti al IV Convegno Ecumenico Nazionale, organizzato dalla Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana, la Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, svoltosi a Siracusa il 7 e 8 maggio 2009 e intitolato “Guai a me se non annuncio il vangelo” […]:

6 – Esprimiamo la nostra preoccupazione vivissima per norme e provvedimenti nei confronti degli immigrati e dei rifugiati, che rischiano di violare fondamentali diritti umani e di negare elementari principi di umanità, di tutela dell’infanzia e dell’unità familiare, di convivenza negli spazi pubblici e di libertà di espressione della propria tradizione religiosa […] ».

«Fondamentali» ed «elementari». Sono aggettivi da sottoscrivere. Qui è in gioco qualcosa che tutti ci accomuna. Perciò in nome di esso bisogna contrapporsi  a chi lo sottoscrive in teoria e lo nega nei fatti.  Le Chiese fanno bene a  ribadirlo. Giusta è anche la loro voce di denuncia. Tuttavia esse non hanno un particolare titolo per compierlo con più  pertinenza e autorevolezza di altri. Sul piano sociale la gravità dei fatti e della loro strumentalizzazione (persino elettorale) è uguale sia per i credenti sia per i laici. Tutti sono legati a un comune fondamento: la non obnubilata consapevolezza della dignità umana rispetto alla quale nessun certificato può avere forza dirimente. Quanto è proprio della fede biblica è ribadire invece la speranza che la vita non si risolva tutta nella pur costitutiva dimensione sociale. Vale a dire che anche dalle acque del Mediterraneo si possa far appello, così come avvenne un tempo sulle rive del Nilo, alla trascendenza del grido.

Si legge nel libro dell’Esodo: «Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati stranieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova e l’orfano. Se tu lo maltratti quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada; le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani» (Es 22,21-23). Per la sensibilità moderna l’applicazione al Signore d’Israele della simmetria implacabile della legge del taglione è fonte di sconcerto, se non di  drastico rifiuto. Se letta con gli occhiali inforcati dalla maggior parte dei nostri con- temporanei non può essere altrimenti. Il salto qualitativo in altra direzione lo si ha solo se si mutano lenti. Ciò avviene quando ci si rende conto di trovarsi di fronte a un terreno tanto cruciale da essere collocato al di là del sociale. A differenza di quanto avveniva in molti altri diritti antichi, la legislazione biblica, per tanti aspetti molto dettagliata, non conosce punizioni per chi nega ospitalità a chi bussa alla sua porta. Rispetto al forestiero a essere in gioco non sono tanto le regole sociali, quanto il comando di Dio.

L’opposto del non maltrattare è l’accogliere. La dimensione esodica legata a questo tema colloca il modo di trattare lo straniero in uno strato più profondo di quello del buon funzionamento della società. La responsabilità è direttamente posta di fronte al Signore che fece uscire il proprio popolo dall’Egitto. Come dimostra senza posa la cronaca, non è affatto sufficiente la memoria. Il ricordo della propria antica condizione di essere stati forestieri in Egitto di per sé non basta. Un popolo di emigranti, una volta ritornato alla sua terra, non ha affatto di per sé braccia più larghe di altri. A rendere specifico il linguaggio biblico è una imperatività legata alla voce del Signore. Due componenti si rimandano l’una all’altra: il grido e il taglione divino.

La nuda esposizione del debole, la memoria di un’uguaglianza antica trovano fondamento nell’alterità di Dio. Ecco perché l’esodo è ricordato sia attraverso la condizione di essere stati stranieri in Egitto, sia mediante la voce inarticolata che a Lui è stata innalzata quando si era nella schiavitù. Il grido è una povertà posta coram Deo. Chi opprime lo straniero e maltratta l’orfano e la vedova viola non tanto una condizione sociale quanto il mistero più intimo racchiuso nella  fragilità umana posta davanti al Signore.

 

Piero Stefani

250 – La trascendenza del grido (17.05.09)ultima modifica: 2009-05-16T10:00:00+02:00da piero-stefani
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