248 – Il fiume della vita (03.05.09)

Il pensiero della settimana, n. 248

 

   Il corso di un fiume è stato paragonato più volte a quello dell’esistenza. Lo zampillo della sorgente rappresenta  l’apparire della vita con un’efficacia senza eguali. Quando si osserva quel getto sorgivo non c’è bisogno di molte riflessioni per comprendere che, senza acqua, tutto morirebbe. I salti e lo schiumoso correre del torrente hanno i tratti della giovinezza. Il robusto fluire di un corso d’acqua che si avvia verso il piano evoca la piena maturità Il gonfio, lento andare di un grande fiume prossimo alla foce (dove consegnerà se stesso ad altro) evoca la vecchiaia. Al pari della vita anche un fiume muta umore: a volte è straripante, mentre in altre circostanze è rattrappito nel proprio alveo. Come le nostre passioni soffre –  e fa soffrire –  per troppo o per poco di vigore. È corrucciato ed è sereno, benefico e dannoso.

La Moldava di Bedrich Smetana fa parte dei sei poemi sinfonici intitolati Ma vlast, («La mia patria»), ma potrebbe essere anche ospitato sotto le ali del quartetto intitolato Dalla mia vita. Ciò è particolarmente vero se si ascolta il brano musicale nella versione diretta da Ferec Fricsay con l’Orchestra della Radio di Stoccarda. Di essa vi è una straordinaria registrazione delle prove (ora raggiungibile anche attraverso YouTube). Ancor giovane (aveva meno di cinquant’anni), ma già consumato dalla malattia che lo avrebbe portato alla morte entro pochi mesi, il grande maestro ungherese lavorava con fatica. Il viso non poteva occultare la sofferenza. Ma la musica vinceva. Per evocare l’iniziale rincorrersi dei primi zampilli, affidato al  duettare dei flauti, Fricsay raccontò una storiella. Si era dopo un temporale, il sole tornava a splendere e il bruco uscì da sotto terra. Vide, vicino a sé, un altro bruco muoversi con graziose movenze. La  scambiò per una femmina e si mise a fare il galante. Al che l’altra, ondeggiando, rispose: «Stupido, non ti sei accorto che sono la tua coda?».

Poco dopo, mentre, con ineguagliabile competenza tecnica e vivacità poetica, continuava a spiegare la partitura, il maestro si interruppe e, rivolgendosi agli orchestrali,  disse loro che non c’era nulla di più bello della vita. È un caso che lui, malato, lo affermasse  mentre dirigeva un brano musicale dedicato al corso di un fiume? La chiusa del poema sinfonico rappresenta, con un lento estinguersi in pianissimo, la Moldava che prosegue il suo corso. Da lontano, sono ancora parole di Fricsay, si vede il nastro argenteo che scorrre inesorabilmente. Il fluire di un corso d’acqua esprime la nostra incapacità di bloccare il tempo, di fermare i giorni, i mesi, gli anni.

Solo all’apparenza Eraclito avrebbe potuto scrivere il suo celebre detto panta rei guardando  un fiume. Per accorgersi del suo fatale andare, bisogna avere un punto di riferimento fisso: essere sugli argini o, se si è in barca, scorgere  la sfilata degli alberi, dei campanili, dei ponti. Per rendersi conto che qualcosa si muove occorre confrontarci con quanto è fisso. Neppure ci è dato di cogliere , in un unico sguardo, l’intero percorso di un fiume dalla sorgente alla foce. L’occhio non abbraccia centinaia di chilometri e, se ne fosse in grado, lo farebbe da una distanza tanto grande da non poterne vedere il fluire. La striscia argentea allora apparirebbe immobile. Solo nella memoria o nella immaginazione possiamo ricordarci delle sorgenti, del torrente, del fiume e della foce. In nessuno di questi luoghi adesso sta, però, scorrendo l’acqua vista allora. Qui Eraclito ha ragione: non possiamo bagnarci due volte nelle acque dello stesso fiume. Se quest’ultimo diventa  immagine della vita, ciò avviene  per il fatto sia di accorgersi del suo attuale scorrere sia di pensare al suo intero corso.

Nella realtà dell’esistenza ognuno si guarda nello specchio degli altri.  Non solo siamo stati bimbi o ragazzi, ma ci sono ancora bambini e ragazzi. Non solo saremo vecchi, ma persone anziane ci sono già. Né saremo i primi a giungere al lento declinare del delta o al più rapido sfociare dell’estuario. Nessun  uomo è un’isola; ma  nessuno, da solo,  è neppure un fiume.

Piero Stefani

248 – Il fiume della vita (03.05.09)ultima modifica: 2009-05-02T09:49:00+02:00da piero-stefani
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