Pentirsi e volere (09.11.02)

il taccuino

 

Nel XXVII canto dell’Inferno Dante, lasciatosi alle spalle Ulisse,  si occupa di un consigliere  fraudolento  a lui contemporaneo, Guido  da Montefeltro.  Scaltro politico, egli operò nella Romagna  fino a quando verso la fine della sua vita, fu preso da un forte senso di pentimento che lo indusse a entrare nell’ordine francescano. Sarebbe restato in quella situazione penitente  se Bonifacio VIII, nel corso della sua lotta contro la famiglia Colonna, non lo avesse convocato per farsi dare un subdolo consiglio su come poter conquistare Palestrina, la roccaforte dei suoi avversari. A Guido tale proposta parve folle. Il papa però lo rassicurò affermando di avere avuto da Dio entrambe le chiavi e quindi di poterlo assolvere senza difficoltà dal peccato che stava per commettere. Rassicurato, il consigliere disse al pontefice che doveva promettere molto e mantenere pochissimo. Giunta l’ora della morte, l’anima di Guido fu contesa tra S. Francesco e un diavolo, il quale ebbe infine partita vinta avanzando l’invincibile ragionamento  stando al quale si può assolvere solo chi si pente, né si  può contemporaneamente  pentirsi e volere «per la contradizion che nol consente». Andandosene il nero cherubino rivendicò poi beffardamente la propria natura di fine e logico ragionatore («… Forse, / tu non pensavi ch’io löico fossi!»). (Ricordo di adolescenza: Luciano Chiappini che parlava ai giovani di Azione cattolica  sostenendo che il diavolo era sì malvagio, ma intelligentissimo).

 

La straordinaria scena dantesca mette in rilievo la serietà richiesta al pentimento: atto che si muove lungo il sottilissimo crinale che distingue il suo giungere per definizione  sempre tardi e la speranza o la certezza che non sia mai troppo tardi. La contraddizione che rende impossibile il darsi contemporaneo di volere e pentirsi dimostra che il pentimento giunge solo dopo, quando è avvenuto quel che non avrebbe dovuto succedere. Ecco perché, come avvenne per Guido da Montefeltro, la stagione per eccellenza della contrizione  si colloca quando l’esistenza sta declinando. Non a caso in molte tradizioni il pentimento contiene in sé l’idea di ritornare (così anche nella Bibbia, cfr. ad es. Dt 4,30; 30,2.10; 1Sam 7,3; 2Cr 14,4; 30,9; Is 31,6; Lam 3,40). Ciò avviene per un duplice ordine di ragioni: da un lato vi è la speranza di non essere mai definitivamente chiusi  in un vicolo cieco privo di sbocco – anche da esso si può  uscire se si ha la forza di invertire i propri passi  – dall’altro vi è la consapevolezza del paradossale capovolgimento dei tempi  richiesto da questo atto. Il pentimento si misura sempre con il passato, vale a dire con quanto di necessità sfugge al nostro controllo.  Chi si pente è tenuto a riparare al male compiuto, ma il suo pentimento è davvero sincero solo se è consapevole tanto di non poter compiere in modo completo questa compensazione, quanto che tale parzialità non costituisce un blocco definitivo a riprendere il cammino.

 

Il chiudersi del secondo millennio dell’era cristiana ha portato sulla scena pubblica dell’Occidente, in modo inedito, temi legati all’ammissione della colpa e della richiesta di perdono. Questi processi, di norma legati soprattutto alla coscienza personale, hanno assunto in tal modo una significativa funzione pubblica. Sorti in buona misura all’interno del mondo cattolico, simili comportamenti si sono via via radicati nella società civile e negli stessi rapporti internazionali. Sono diventati linguaggio comune, ma  spesso senza la dovuta serietà.. Anche Putin ha chiesto perdono per le vittime innocenti del teatro moscovita uccise dal gas introdottovi, sotto suo ordine, dalla squadra alfa. Il presidente russo ha fatto tante cose nella sua vita, probabilmente però non ha mai letto Dante, né, uomo formatosi nel KGB, ha meditato sull’antico consigliere frodolento Guido da Montefeltro. In tal caso si sarebbe accorto dell’insanabile contraddizione che vi è tra volere e pentirsi. Sulla bocca dei capi di stato, la retorica del pentimento è pur sempre labilissima spia che nel mondo mass-mediatico di oggi neppure i potenti possono agire indiscriminatamente senza fingere di dar conto di quanto da loro compiuto; ma nel contempo  le modalità con cui si attua tale operazione trascinano  nella sfera della banalità  una delle più profonde manifestazioni della coscienza umana

Pentirsi e volere (09.11.02)ultima modifica: 2002-12-28T06:25:00+01:00da piero-stefani
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