Il corpo e lo spirito (02.11.02)

il taccuino

 Nella recente ricerca storica su Gesù uno spazio sempre più ragguardevole viene assegnato alla sua attività di guaritore  (cfr. ad es. il cap. VII «Guaritore in un mondo di guaritori» in  G. Barbaglio, in Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica, EDB, Bologna 2002, pp. 215-253). Quasi un terzo  del Vangelo di Marco – il più antico tra tutti –  è dedicato all’attività taumaturgica di Gesù. D’altra parte nell’episodio del paralitico il perdono del peccato e la guarigione dalla terribile malattia sono così strettamente congiunti che il secondo atto è chiamato in causa solo per confermare il primo (Mc 2,1-12). Nessuno comunque  si è mai avvicinato a Gesù  essendo risanato nello spirito ma non nel corpo.

 È essere infedele al Vangelo sottovalutare l’importanza di una guarigione compiuta  non attraverso l’arte umana, ma mediante una forza che viene da Dio. Tuttavia nel corso della storia cristiana  si è progressivamente affermata l’importanza di una guarigione spirituale. L’opera del risanamento è stata sempre più vista come l’uscita dalla condizione di peccato e dal conseguimento di uno stato di grazia. Alcune grandi vicende di conversione  disseminate lungo la storia della spiritualità e della cultura cristiane (si pensi ad Agostino, Pascal o Manzoni) indicano che sarebbe ugualmente grave prendere alla leggera questo tipo di guarigione. Non è certo  trascurabile affermare che in virtù di un mutamente improvviso – anche se spesso a lungo atteso – una vita ritrova senso e consistenza comprendendo che sofferenze, lacerazioni, scoraggiamenti e dissipazioni possono essere accolti e riscattati. Allora, senza rinnegare quanto di più profondo vi è in noi stessi, tutto diviene diverso (e grandi figure letterarie come fra Cristoforo e l’Innominato  ne sono esempi non meno efficaci di alcune vicende reali).

 

Con tutto ciò la spinta a chiedere a Dio la guarigione dalle sofferenze corporee rimane un sentimento umano profondo che in molti può diventare autentica espressione di fede, specie se non  vincola il proprio credere all’ottenimento di tale risanamento. Il fatto che queste richieste siano dirette di solito ai santi  significa poi che ci si rivolge a Dio ricorrendo a coloro che in vita hanno spesso conosciuto quel tipo di soffrire. Tutto ciò è comprensibile e persino commovente. Diversa è invece la sensazione quando i miracoli vengono chiamati in causa per stabilire le canonizzazioni. Nessun papa come l’attuale ha proclamato santi delle più varie provenienze ed epoche. Sotto ogni latitudine e in ogni tempo ci sono state perciò persone che hanno testimoniato Dio nelle loro vite.

 

Da questo punto di vista si tratta di uno sviluppo che va al di là di un banale incremento quantitativo.Tuttavia nulla è mutato nel processo di canonizzazione: nel caso che non si sia martiri, non solo ci vuole il miracolo, ma esso deve riguardare proprio il corpo. Per stabilire che sia davvero tale occorre infatti rivolgersi a equipe mediche che affermino il carattere non naturale della guarigione avvenuta. A stabilire che si tratta di miracolo dunque non è un discernimento spirituale, ma un’indagine scientifica. Non bisogna essere molto ferrati in epistemologia per comprendere la problematicità di una simile operazione: come può un’incapacità della scienza a spiegare un fenomeno essere invocata a prova di un evento miracoloso che scientifico non è? Senza volerlo per questa via  si rischia di rendere la scienza un parametro assoluto. Alle spalle di tale procedere c’è una evidente dipendenza da concetti di natura e sopranatura culturalmente condizionati e non corrispondenti né alla mentalità antica, né a quella contemporanea. Come giustamente osserva  John Cornwell  in suo libro appena uscito in italiano (La fede infranta. Il papa, la comunità dei fedeli e il futuro della Chiesa, Garzanti, Milano 2002) questo legare i processi di canonizzazione a radiografie o a ricerche statistiche condotte via internet non potrà mai  includere tra i «miracoli» il risanamento di depressi psichici con intenti suicidi, il rinciliarsi di coniugi avviati a una rottura insanabile o l’uscita di una persona dalla prigione dell’alcol. Né si può dargli torto quando afferma che «un punto di vista più inclusivo sul significato dei miracoli e della santità potrebbe accettare il fatto che è più difficile cambiare i cuori umani che far scomparire i tumori». L’allargamento degli orizzonti della santità dovrebbe trovar riscontro anche in una profonda revisione delle modalità di canonizzazione.

 

Il corpo e lo spirito (02.11.02)ultima modifica: 2002-12-28T06:30:00+01:00da piero-stefani
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