380. Come i fiori? (01.04.2012)

Il pensiero della settimana, n. 380

 

 

I fiori non sono consapevoli del loro sbocciare. In questa stagione basta volgere lo sguardo e li si vede ovunque: sugli alberi e nei vasi, in casa e sui balconi, nella aiuole e nei prati. Ai margini dei boschi si scorgono macchie viola, isolotti gialli, cespugli bianchi. Nei campi saettanti spruzzate di candidi pruni si stagliano contro rosei e compatti sfondi di peschi. Presto i primi perderanno il proprio candore per cedere al verde tenero delle foglie, mentre i secondi deporranno a terra leggeri tappeti di un colore sempre più stinto. I fiori però nulla sapranno del loro appassire. Non ha certo il sapore della rivelazione affermare che il loro senso riposa solo nell’occhio che li osserva.

Gli usi a cui gli uomini sottopongono i fiori coprono entrambi gli estremi dell’esistenza: sono addobbi per le nozze e doni per le nascite; tuttavia li si depone anche sulle bare e sulle tombe. Segnano lo sbocciare della vita e marcano il suo venir meno. Nelle spoglie chiese del Venerdì santo il “sepolcro” in cui sono custodite le specie eucaristiche resta circondato da fiori che saranno riportati sull’altare nella notte della risurrezione.

Molti fiori sbocciano solo per deporre la veste provvisoria dei loro petali al fine di raggiungere la forma del frutto. Un movimento interno li spinge in quella direzione. Il frutto però non sa di essere esito di un processo, né sa di dover finire nella bocca di viventi. Neppure è conscio di essere prossimo a venir riconsegnato alla sua iniziale condizione di seme in grado di dar luogo ad altri fiori e ad altri frutti.

Se il chicco non cade a terra e non muore non dà frutto. Tuttavia anche quest’ultimo, a propria volta, muore per tornare a essere seme. Tutto ricomincia perché tutto finisce, e viceversa. Solo l’estinguersi degli esseri anmati è privo in se stesso delle potenzialità di ricominciare: non si seminano le ossa.  Il chicco muore per rinascere; di contro la femmina e il maschio si uniscono per moltiplicare la vita quando vivono e non già quando muoiono. Nei figli si scorgono le fattezze dei genitori che si prolungano e si modificano in un misto di somiglianza e diversità; esse però sono frutto della vita, non già della morte; in questo caso se il seme morisse non darebbe frutto.

Molte civiltà e culture hanno ritenuto che, nonostante tutto, gli esseri umani non siano poi così diversi dai fiori. Il loro sbocciare conduce a un finire che porta a un rinascere a sua volta diretto verso un ri-morire. Niente si crea, niente si distrugge, tutto si modifica. Tuttavia, allorché si rinasce, le vite precedenti sono avvolte nell’oblio. Civiltà intere non hanno avuto paura del nulla. I drusi sono celebri per essere coraggiosi nel combattere anche in virtù della loro fede nella reincarnazione. Ancora oggi monaci buddhsiti si danno fuoco per attuare un’estrema protesta (e il loro esempio trova ormai imitatori anche nel nostro paese, non però nel segno di lotta per la libertà – come fu in Jan Palach – ma come indice terribile puntato contro il dramma della mancanza di lavoro). Il ricorso alla simbologia floreale per indicare tanto la vita quanto la morte esprime, in modo forse inconscio, la propensione alla ciclicità insita nell’animo umano.

Nel nostro emisfero, dove è sorta, la Pasqua si celebra nella stagione in cui lo sbocciare dei fiori si fa più dirompente. A primavera una forza a lungo trattenuta esplode per poi crescere, declinare e ricominciare. Tuttavia la Pasqua, che pur torna ogni anno, ha instillato in molti cuori la convinzione (o la speranza) che ci sia un ri-nascere non seguito da alcun ri-morire. Ciò esige che la morte per i viventi (che pur si estinguono in maniere tra loro diversissime) sia considerata un unicum in senso assoluto. Poche convinzioni hanno segnato tanto a fondo la differenza tra l’Occidente e altre civiltà più di quella secondo cui non ci è concesso ri-morire. Ciò vale per la fede, ma anche, sotto altra veste,  per l’agnosticismo, l’ateismo, il naturalismo.

È centrale nella fede del credente affermare che Gesù morì una sola volta. Quanto vale per lui, vale anche per noi. Non ci è dato alcun ri-morire posto dopo un inconsapevole rinascere. Ma come mai, se qui sta la verità, intere civiltà hanno pensato altrimenti? Come mai il fascino legato a un inesauribile ciclo di rinascite conquista, anche alle nostre latitudini, sempre più spazi mano a mano che scemano le certezze su cui si è costruito l’Occidente? Come annunciare l’unicità della Pasqua in questa precoce primavera di fiori sbocciati e spesso già appassiti?

Nota conclusiva: quando uno scritto termina con interrogativi non retorici significa che la capacità di porre domande eccede quella di rispondere ad esse.

Piero Stefani

 

380. Come i fiori? (01.04.2012)ultima modifica: 2012-03-31T08:41:00+02:00da piero-stefani
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