381. Peccato e perdono (08.04.2012)

Il pensiero della settimana, n. 381 

 

«A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che ho anch’io ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor  15,3-5). In uno degli scritti più antichi della fede cristiana, si trova un rimando a qualcosa di ancora precedente:  Paolo trasmette quello che lui stesso aveva ricevuto. 

Fin dall’inizio si  afferma che Gesù morì per i nostri peccati, ma noi non sappiamo più come riempire di contenuti questa formulazione. La giusta caduta di una concezione puramente sacrificale-espiatoria-riparativa collegata alla croce (Gesù con la sua morte ha pagato il prezzo del nostro riscatto attraverso un’espiazione vicaria) ha lasciato dietro di sé il vuoto. Sappiamo riempirlo in termini di solidarietà, resta non colmato in riferimento al peccato. Il peso ossessionante posto sul peccato in secoli di esposizione catechistica si è dissolto senza lasciare eredi. Nelle nostre società e in noi stessi domina il senso psicologico di colpa e latita quello teologico di peccato. Forse anche per questo è difficile vivere con intensità il «triduo pasquale».

Gli stessi Vangeli non indicano una sola via per la remissione dei peccati. Ogni volta che recitiamo il Padre nostro chiediamo che ci siano rimessi i peccati in riferimento al nostro modo di rapportarci agli altri senza alcun richiamo alla croce. All’inizio della sua vita pubblica, Gesù risana  per dimostrare che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra (Mc 2,4-12 ) senza compiere  alcuna allusione alla propria morte. Nell’inno (anch’esso prepaolino) contenuto nella lettera ai Filippesi ci si sprofonda nel mistero della croce parlando di obbedienza, ma tacendo ogni riferimento al peccato (Fil 2,5-11). Fin dall’inizio la fede non volle parlare una sola lingua.

Non sappiamo più bene cosa sia il peccato, ma siamo consapevoli di aver bisogno di perdono. Forse il segreto sta qui. La fede è la certezza che Dio ci perdona a prescindere dalle vie in cui giunge a farlo.

Venanzio Reali, il frate cappuccino poeta, scrisse sul letto di morte alcuni  frammenti posti sotto il titolo di Paglie. Uno di essi si intitola Carico

 

Mio Dio

sono pieno di peccati

come un carro di fieno

di un tempo.

Ma so che basta

Una goccia del tuo sudore

Per tutto incenerire

Quel ch’è mio.

 

Nell’immagine campestre di un carro stracolmo di fieno odoroso è già detta la speranza che il peccato possa venir trasformato in qualcos’altro, che il bruciare quel che è mio (il peccato) non annichilisca tutto, ma riveli quello che di «tuo» c’è già oggi in me.

 

Piero Stefani

381. Peccato e perdono (08.04.2012)ultima modifica: 2012-04-07T06:00:00+02:00da piero-stefani
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