373. Ancora luoghi (12.02.2012)

   Il pensiero della settimana, n. 373

 

 Neve e gelata galaverna: la bellezza che sparge candore ovunque perché ignora la sofferenza dei viventi. Come ben sapeva Nietzsche, vi è un profondo sodalizio tra estetica e crudeltà. Si va dagli immobili vegetali, i più indifesi, su su verso altre creature che vengono ostacolate nella loro mobilità. È dramma se, come capita agli alberi, si è esposti alle intemperie senza trovar rifugio; è invito alla pazienza per chi, membro di una società che ha manipolato il DNA della lentezza, si trova bloccato. È irritazione per chi, essendo fermo per disservizi ferroviari, avverte il martellante ripetersi di inarrestabili (o meglio non arrestati) slogan pubblicitari emessi da fastidiosi schermi installati lungo i binari. Nello specifico, in questi giorni, i viaggiatori e in primis i pendolari (e si tratta di una pendola che, quando c’è, è sempre indietro), oltre che dalle lunghe attese sono perseguitati da un ossessivo motivetto «quanto è bello far l’amore da Trieste in giù» (pubblicità di non so quale film) che, contro la volontà dell’ascoltatore, penetra e rimbomba nei suoi orecchi in qualunque stazione si trovi «da Trieste in giù».

 

Per lunghi tratti l’Adriatico, nei giorni di calma, appare coma una sconfinata pianura d’acqua: tra il Po, la sua valle e il suo mare ci sono affinità elettive. Quando soffia la Bora però tutto muta; allora a prevalere è l’irruzione di orientali e ventose orde barbariche: il  carro di Fetonte è costretto a rotolare all’indietro.

 

Vicenza 24 gennaio 2012. Scendendo da Monte Berico. Una settimana fa’ a quest’ora era buio, oggi si cammina in un’atmosfera rosata. Ma più ancora del colore è il limpido ad avvolgere ogni cosa. Il vento ha spazzato via la nebbia, colline e montagne vengono a noi nella nettezza del loro frastagliarsi. Le cose non sono mutate in sette giorni. Lo sguardo su di esse è invece totalmente diverso: è il dono della luce,  il simbolo più alto che è dato alle creature umane per esprimere l’eterno.

 

Vicenza, in un tondeggiante cocuzzolo sopra la basilica di Monte Berico vi è la villa Guiccioli, XVIII secolo, dell’architetto G.A. Selva, come recita un cartello. Non vi sono altre date visibili. L’ingresso che immette nella villa e nell’attiguo parco storico è costituito da un portale di stile fascista, con decorazioni “a obice” ai lati; sull’architrave vi è scritto in cemento «Museo del Risorgimento e della Guerra». Un altro cartello, che riporta gli orari di apertura e chiusura, avverte che lì vi è la sede del «Museo del Risorgimento e della Resistenza». Fatti pochi passi verso l’interno vi è un muro di cemento che dimostra almeno due o tre decenni di vita (ma anche qui non ci sono date). Su di esso vi è una scritta bipartizan: «Affratellati nel supremo sacrificio Vicenza ricorda i suoi figli caduti nella guerra 1940-1945». Dietro il muro sul fianco destro (rispetto all’osservatore) e un poco discosta all’interno vi è la sequenza di 31 lapidi su cui sono elencati tutti i caduti delle Guerre d’indipendenza fino alla guerra nell’Africa Orientale e a quella di Spagna. La 31° lapide, dopo gli ultimi caduti nella guerra civile spagnola morti per la causa di Francisco Franco, riporta cumulativamente le vittime nelle guerre 1910-1945: militari 701, civili 532. In basso a destra di quest’ultima lapide una targhetta in metallo ricorda che le lapidi sono state restaurate a cura della Banca Popolare di Vicenza nel 1998 (ma molti nomi sono già poco leggibili; se l’intera struttura risale a quell’epoca porta davvero male i suoi anni). Fatto qualche altro passo, si vedono, sul piazzale, cannoni verdastri austroungarici della Prima guerra mondiale. A villa Guiccioli, nella sua volontà di affermare, rispetto ai caduti, una omogeneità fittizia, Vicenza inclina verso una italica incoerenza autogiustificatoria.

 

Quando si ritorna in una città che si conosce bene ma da cui si è restati lontani parecchio tempo è come vedere un album di vecchie foto di famiglia: si ha contemporaneamente il senso della prossimità e della distanza.

Piero Stefani

373. Ancora luoghi (12.02.2012)ultima modifica: 2012-02-11T06:00:00+01:00da piero-stefani
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