374. Paolo e Agatone – Frammento di un dialogo immaginario

Il pensiero della settimana, n. 374

 

 

Agatone   Paolo voglio dirti una cosa, da quel giorno sull’Areopago (cfr. At 17,16-34) mi è rimasta una curiosità; come sai l’essere curiosi è un atteggiamento tipico di noi filosofi, specie se ateniesi. L’hai visto davvero quell’altare con su scritto «a un Dio ignoto»? Girando per strade e piazze con i miei occhi non ho mai scorto una scritta simile a quella.

Paolo   Sei nel giusto nel pormi la domanda. Quel giorno là in mezzo a voi, filosofi stoici ed epicurei (ma pensavo soprattutto ai primi) sforzai i termini del discorso. O meglio, rispetto all’epigrafe da me effettivamente letta, per un verso mutai pochissimo, ma per un altro aspetto introdussi un cambiamento radicale. Avevo osservato infatti degli altari dedicati «agli dei ignoti». Con il  passaggio dal plurale al singolare, volevo alludere non più a un culto pubblico, ma proprio a quel particolare altare contenuto nella coscienza umana. Sono convinto che, se avessi la possibilità di compiere quanto il nostro Dio ha riservato a se stesso, cioè scrutare il cuore degli uomini, mi sarebbe  dato di scorgere, nella profondità dell’umano, proprio quel detto.

Agatone  Oh sì, quegli altari agli dei ignoti, li avevo visti anch’io, qui e altrove. Essi alludono a nomi di divinità di altri popoli che ancora non conosciamo. Anche loro hanno il diritto di cittadinanza nel nostro pantheon. Tutti i popoli dell’ecumene abitano sotto un unico cielo. Hai parlato degli stoici, la corrente filosofica a cui anch’io aderisco. Nell’Inno a Zeus del nostro antico maestro Cleante si afferma che un attributo di Dio è quello di avere molti nomi (polyonymos). Dio si manifesta in molto modi, sotto una pluralità di nomi. Le divinità di tutti i popoli sono le raffigurazioni di questo molteplice operare divino, chi può circoscriverlo? In una cultura a noi sconosciuta, gli dei hanno dei nomi anch’essi ignoti. Tuttavia pure quel popolo abita sotto il nostro stesso cielo ed è guidato dalle stesse stelle. Noi non conosciamo il nome di quegli dei, ma li possiamo adorare perché sono manifestazioni dello stesso Logos divino che regge il tutto. Per noi cosmopoliti quei nomi sono sconosciuti, eppure non ci sono estranei.

Paolo – «Adoratori delle stelle», così alcuni dei nostri testi qualificano coloro che si dedicano al culto cosmico. Bada bene, ciò non equivale a un’accusa di idolatria pura e semplice. Le stelle non sono statue fatte dalle mani d’uomo che hanno occhi e non vedono, hanno bocca e non parlano, hanno orecchi e non odono (cfr. Sal 115, 5). Proprio il vero, unico, invisibile Dio che si è comunicato a noi attraverso la parola, senza che apparisse alcuna figura, ha dato in eredità ai popoli il sole, la luna, le stelle (cfr. Dt 4,19-20). Sì, vi è qualcosa di vero, Dio opera anche nel cosmo, la sua parola invisibile precede però il cielo che tutti ci accomuna, è essa infatti ad aver creato il mondo. La differenza tra noi e voi sta tutta qui. Il Dio creatore, pur essendovi vicino, vi resta ignoto.

Agatone  Mio caro Paolo, con queste tue parole mi costringi a diventare polemico: come puoi pretendere di annunciare Dio creatore e nel frattempo accusare la nostra intera cultura di non aver conosciuto colui che pure avremmo potuto e dovuto conoscere? Un mio parente che vive a Roma e ha aderito alla tua setta, mi fa detto che hai inviato loro una lunga lettera (per quanto quella  non fosse neppure una tua comunità). Lo scritto, mi si dice, contiene ragionamenti complicati. In uno di essi sostieni che l’ira di Dio si è abbattuta su di noi, poiché noi, pur essendo nelle condizioni, fin dalla creazione, di conoscere, attraverso le sue opere, la eterna potenza di Dio, non l’abbiamo glorificato e ringraziato come  Dio. Poi ti lasci andare a un forsennato attacco contro l’idolatria, come se noi, effettivamente, adorassimo quadrupedi, rettili e uccelli (cfr. Rm 1,20-23).

Paolo – Anche questa volta sono costretto a darti ragione: ad Atene e a Roma ho parlato un linguaggio diverso, nell’un caso conciliante, nell’altro battagliero. Eppure non ho assunto due posizioni davvero contraddittorie. So bene che voi filosofi non adorate né animali, né statue. Quando però ritenete che gli uni e gli altri siano simboli adeguati di Dio avete la presunzione di catturare l’invisibile attraverso il laccio del visibile; così facendo, legate a filo doppio Dio e mondo. Quel poco che conosciamo di Lui attraverso l’ordine del mondo avrebbe dovuto invece convincervi di far elevare anche a Roma un altare  «a un Dio ignoto», o meglio «al Dio ignoto».

Agatone  Ma con quale autorità ci annunci quanto secondo te non ignoriamo? Noi sappiamo quello che è dato di sapere alla natura umana, cosa si può pretendere di più? Accetto, comunque, di ragionare attorno al tuo ipotetico altare dedicato al Dio ignoto. A tal proposito affermo che il tuo errore sta proprio nel voler annunciare quanto è e deve restare ignoto. Riempire quello spazio vuoto con un nome, o piuttosto, secondo quanto voi dite,  con il Nome è una contraddizione in termini. Tu sostieni di non contraddirti, qui invece lo fai. D’accordo, dando un nome al Dio ignoto non catturi la divinità attraverso l’immagine, lo fai però per mezzo della parola; c’è forse molta differenza? Sostituisci semplicemente un linguaggio a un altro; e perché quello verbale deve valere più di quello visivo?

Paolo – È davvero impegnativo parlare con te; lungi dal demordere rilanci sfide di enorme portata. In quella lettera che scrissi alla comunità di Roma, ripetei quanto è convinzione profonda dei noi ebrei; Dio ha fatto conoscere qualcosa di sé a tutte le genti attraverso le opere da lui compiute; a noi, tuttavia, Egli ha comunicato la sua parola perché la mettessimo in pratica. Sai anche però, e ciò mi distingue dalla maggior parte dei membri del mio popolo,  che è mia convinzione che neppure noi ebrei siamo davvero in grado di poter mettere in pratica quella volontà. Io credo che si sia salvati secondo la promessa e non in base alla Legge. Siamo salvati attraverso un’altra via, quella della fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Il cuore della mia predicazione all’Areopago che suscitò la derisione di quasi tutti gli ascoltatori – ricordi Agatone? – è Gesù Cristo morto e risorto. Ma allora, ironicamente, mi diceste che su ciò mi avreste sentito un’altra volta. Non voglio certo imporre un ascolto a chi non desidera udire. Voglio però dirti che per chi vive nel mondo della parola, il Dio ignoto è diventato per lui il Dio che si tiene nascosto; è una grande differenza. Questo suo tenersi nascosto (che è differente anche dall’essere solo nascosto) lo possiamo sapere soltanto in virtù di una parola che viene da Lui. Così hanno detto i nostri profeti;  e la parola di Dio – l’ho scritto anch’io a quelli di Roma (cfr. Rm  9,  ) – non viene meno.  Per rispondere in modo più diretto alla tua domanda: è la parola stessa  a dirci che Dio è al di là della sua stessa parola. In definitiva, vi annuncio, come hanno detto i nostri profeti,  che il Dio che si tiene nascosto è l’unico che può salvarci (cfr. Is 45, 15). Forse potrei concludere così: a voi è già dato di accogliere nel vostro cuore e, forse, anche di erigere sulle vostre piazze, un altare al Dio ignoto; ma ora io vi annuncio che siete nelle condizioni di dedicarne uno anche al Dio che si tiene nascosto; e, una volta eretto, è molto probabile che allora mi chiedereste di parlare di nuovo anche di Gesù Cristo.

Piero Stefani

374. Paolo e Agatone – Frammento di un dialogo immaginarioultima modifica: 2012-02-18T06:00:00+01:00da piero-stefani
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Un pensiero su “374. Paolo e Agatone – Frammento di un dialogo immaginario

  1. Bello! “…dando un nome al Dio ignoto non catturi la divinità attraverso l’immagine, lo fai però per mezzo della parola; c’è forse molta differenza?” Filosoficamente impeccabile. La risposta di Paolo è in sostanza quella di Karl Barth: “[Jesus] sagt sich selber. Er redet ja, indem er existiert. Er ist, indem er ist, das Wort Gottes.”

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