311 – Nella diversità la storia si ripete (24.10.2010)

Il pensiero della settimana, n. 311

 

Nel primo libro di Samuele (8,1-22) si descrive come nacque la monarchia in Israele; vale a dire si narra come si passò da una  forma di governo non dinastica rappresentata dai cosiddetti giudici a un potere in base al quale l’autorità è trasmessa da padre in figlio. Il mutamento dipese da vari fattori; tra essi un ruolo determinante va assegnato alla corruzione. La storia si ripete senza che essa serva ad insegnare alcunché.

Il personaggio chiave della vicenda è Samuele che fu profeta, giudice e sacerdote. Da giovane, quando si trovava a Silo, fu chiamato dal Signore per denunciare il comportamento corrotto e lussurioso dei figli del vecchio sacerdote Eli (1 Sam 2, 12-3,18). Quando, a sua volta, divenne anziano, Samuele stabilì come giudici (shofetim) su Israele i propri figli; anch’essi si rivelarono corrotti: accettavano regali e stravolgevano il diritto (mishpat) (1Sam 8,3). Samuele, chiamato da Dio a guidare il suo popolo, non aveva fatta propria la lezione di un altro giudice, Gedeone, che, a suo tempo, denunciò i pericoli di  un potere che passa da padre in figlio (Gdc 8,2).

Gli anziani del popolo allora vanno da Samuele. Senza mezzi termini, gli prospettano la sua età avanzata e la corruzione dei suoi figli. Per questo gli chiedono di stabilire un re che li governi, così come avviene per tutti gli altri popoli (1 Sam 8,4-5). La linea di condotta degli anziani potrebbe riassumersi in questi termini: «tu vuoi imporci surrettiziamente un principio dinastico, tant’è allora formalizzarlo e passare alla monarchia». Alle spalle della richiesta di avere un re, si palesa una tendenza che, in termini moderni, dovremmo chiamare «assimilazione nazionalista»: con la loro richiesta i rappresentanti di Israele dichiarano di non essere in grado di mantenere la diversità che li distingue da «tutti gli altri popoli».  Essi affermano  la propria volontà di togliere l’anomalia legata a un popolo governato da giudici carismatico-profetici, i quali, però, si sono rivelati incapaci di frenare la corruzione e si sono, a loro volta, lasciati sedurre dal ricorso a un contraddittorio principio dinastico: Samuele, da vecchio, costituisce giudici i propri figli. Nessuno dura per sempre. Allora come ora, le leggi della biologia sono più inesorabili di quelle della politica. Il popolo vive, il capo, primo o poi, muore. Nessuna leadership biologica dura all’infinito.

Samuele replica con sdegno alla proposta degli anziani: «non sia mai». La risposta non è nobile; il dispiacere da lui provato è autocentrato. La Bibbia afferma che la proposta non fu buona agli  occhi di Samuele (1Sam 8,6): il che sta a significare che si è di fronte a una valutazione soggettiva priva di riferimenti a quanto è bene o male agli occhi di Dio.  La risposta del Signore evidenzia questo lato. Nell’atto di prendere la  decisione di stabilire come norma l’esistenza di un re di carne e sangue viene ad essere respinta la sovranità del Signore. Di contro, l’atto di accogliere la regalità di Dio, politicamente espressa dalla discontinuità carismatica dei giudici, evidenzia che il popolo è chiamato a  essere diverso dagli altri.

La linea prospettata da Samuele è smentita da Dio. Il Signore, che rappresenta il fondamento del vero diritto, consente, infatti, che si costituisca un altro tipo di sovranità. Questa concessione fonda la «rivoluzione biblica» in base alla quale si  prospetta  la «laicità» del potere monarchico, operazione, quest’ultima, del tutto inedita nel Vicino Oriente antico, ambito nel quale la figura del monarca era sacralizzata. Il Signore mise in bocca a Samuele queste parole di ammonimento (destinate a non avere esito): «Questo sarà il diritto (mishpat) del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli […] li farà capi di migliaia e capi di cinquantine, li costringerà ad arare i suoi campi […] prenderà le vostre figlie per farle profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà pure  i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime…» (1Sam 8,10-17).  Il punto capitale per comprendere questo passo è che qui si tratta di diritti del re analoghi a quelli delle monarchie coeve. Non siamo di fronte a un abuso: siamo davanti alla costituzione di un diritto alternativo rispetto a quello di Dio. Non c’è sopruso, piuttosto c’è la nascita del principio assolutistico in base al quale la volontà del sovrano è legge. Rispetto a questa prospettiva, la peculiarità della linea biblica antimonarchica, si riassume tutta nell’additare che il diritto del re non è quello di Dio.

Per palare in modo prosaico e attualizzante, la risposta del Signore alla scelta  monarchica compiuta dall’antico popolo d’Israele potrebbe essere ricondotta a questi termini: «Lo avete voluto voi, tenetevelo, ma, badate bene, andrete inevitabilmente incontro a una gestione personalistica del potere. Allora griderete che è un sopruso e un abuso; in realtà non è così, quegli atti sono conseguenze dirette e coerenti della scelta da voi compiuta». Il diritto del re crea una serie di funzioni e personaggi a lui legati: i capi dell’esercito, i ministri che traggono un vantaggio personale dalle loro funzioni, i cortigiani con le loro profumiere, gli esattori fiscali. Il potere di una sola persona suscita una pletora di subalterni interessati i cui vantaggi sono legati a filo doppio a quelli del capo. L’applicazione del principio monarchico, quindi, non crea l’unità del popolo; al contrario, esso suscita vari gruppi di interessi forieri di una disuguaglianza di fatto. Quando si innescano procedure che legittimano un diritto fondato sull’interesse di parte è arduo tornare indietro; troppi sono gli interessi che si coagulano per tener in piedi un «diritto del re» che non è quello di Dio.

 

Piero Stefani

 

311 – Nella diversità la storia si ripete (24.10.2010)ultima modifica: 2010-10-23T11:04:00+02:00da piero-stefani
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