307 – L’uomo crea la sua strada percorrendola[1] (26.09.2010)

Il pensiero della settimana n. 307 

 

Quando si imbocca una strada per giungere a una determinata meta il percorso è rivestito di  una funzione soltanto strumentale. Non è il fine; è semplice mezzo. Per la maggior parte delle volte si cerca di coprire la distanza il più velocemente possibile e ci si spazientisce se i tempi si allungano. Se fosse solo questo il modo di transitare su una via, difficilmente l’immagine del viaggio sarebbe divenuta tanto pregnante per rappresentare il cammin di  nostra vita. Sarebbe eccessivo affermare che lo è divenuta perché è la strada stessa a rappresentare la meta; è però del tutto adeguato sostenere che il senso della via dipende dai modi in cui la si percorre; ciò vale anche nei casi in cui davanti a noi non si scorge, in modo chiaro e netto, il punto di arrivo.

 Una celebre espressione evangelica qualifica Gesù «via, verità e vita» (Gv 14,6). Senza intaccare il suo significato originario, cerchiamo di trascriverla in chiave antropologica. Letta su questo registro, suonerebbe così: la verità della vita è la via. L’autenticità della propria esistenza la si conquista camminando. Nel mezzo della vita ci si trova in una selva oscura e si smarrisce la giusta via, non tanto perché si è persa la traccia che conduce, per maniera diretta, alla meta prestabilita, quanto per la titubanza e l’incertezza dell’andatura, per la sfiducia che ci assale, per la convinzione di  non farcela a venirne fuori. È convincimento profondo dell’animo di chi è davvero capace di camminare che si può essere sulla strada giusta anche quando non si è ben sicuri di dove si andrà a finire. Pure in questi casi, quando un passo segue con convinzione il precedente, è dato di custodire la certezza di non perdersi. Questa fiducia basta per essere certi, nel proprio intimo, di non cadere nel baratro. Di frequente occorre compiere delle scelte che si sanno giuste anche se non si è nelle condizioni di prevederne tutte le conseguenze. Anzi, è sicuro che la vita di ciascuno è costellata di esiti non messi in conto derivati da decisioni liberamente assunte; ciò, però, non è motivo sufficiente per valutare in modo negativo le scelte compiute. Esse sono  giuste o sbagliate a motivo della loro intenzione originaria e dello sforzo di rimanervi fedeli e non per quel che, più o meno accidentalmente, ne è derivato.

In uno suo scritto filosofico, Alessandro Manzoni si impegna a confutare i sistemi morali che pongono il loro principio guida nell’utilità.[2] L’argomento principe da lui proposto sta nell’indicare come la dimensione dell’utile esiga, per forza di cose, la previsione e quest’ultima ricade, per definizione, nell’ambito dell’incertezza. Qui l’«eterogenesi dei fini» ha gran spazio:  quando si cerca l’utile è frequente che si porti a casa anche il dannoso. Nella prima metà dell’Ottocento la prospettiva non era così evidente, ma oggi ne abbiamo conferme a iosa nell’ambito della tecnica: molte applicazioni introdotte all’insegna dell’utilità, pur non perdendo del tutto la loro originaria funzione, hanno provocato una lunga serie di danni. Manzoni, abbandonando l’asse incerto del futuro, sosteneva che la scelta va compiuta in base a criteri che possono pienamente dispiegarsi già ora: il bene e il male. Qualcuno dirà, non senza ragione, che non è sempre facile discernerli. È vero; con tutto ciò resta fuori discussione che essi, a differenza di quanto presuppone l’utile, non esigono alcuna proiezione in avanti se non quella di restar fedeli alle scelte compiute. 

La coerenza non comporta alcuna meccanica riproposizione. Essa ha ben poco da spartire con il timbro del cartellino compiuto ogni volta che si varca la soglia del luogo di lavoro. Sovente, per rimanere coerenti, bisogna essere capaci di mutare gli atti esteriori e persino i moti dell’animo, senza con ciò intaccare l’intenzione di fondo. La fedeltà è un cammino non un girotondo. «L’uomo crea la sua strada percorrendola». La frase di Bruce Chatwin, posta come titolo, è interpretabile in molti modi; non è abusiva applicarla anche all’ambito della coerenza.

Non sempre si percorre la strada da soli. Spesso si tratta anche di un uomo e di una donna. L’esempio più coinvolgente e impegnativo è il matrimonio. In quel caso, si fanno, di frequente, progetti; tuttavia essi derivano dalla decisione presa a monte mentre non costituiscono affatto il motivo vero per cui si è compiuta quella scelta. Allorché ci si sposa si è all’inizio di un cammino, ma nessuno dei due, né quando ha scelto né nel tempo successivo, sa, con precisione, cosa riserverà la strada imboccata. Non per questo la decisione è vana. Quando la si prende si sa di esporsi a dei rischi, il primo dei quali, che si fa più incombente passo dopo passo, è di trovarsi, a un certo punto, nelle condizioni di non camminare più in due. Di norma uno dei coniugi – in anticipo non si sa quale – si arresta prima dell’altro. Allora ci si trova a procedere da soli. Anche in questo caso è sempre comunque vero che quella strada la si crea precorrendola assieme. Sia pure in un clima ben diverso, l’affermazione rimane, infatti, vera anche quando il coniuge si troverà nelle condizioni di procedere non avendo più affianco chi, all’inizio, compì la scelta insieme a lui.

È difficile percorrere in due fino al suo termine la strada della vita. Ciò avviene perché, in principio, non si è nelle condizioni di prevedere gli ostacoli che si troveranno sul cammino. O meglio, lo  si sa unicamente in modo generico, mentre le insidie sono davvero tali solo quando sono specifiche. Dichiarare indissolubile quel legame ha senso solo in relazione alla qualità dell’impegno. Lungo la via, quando insorgono gli inciampi, altre parole, dai tratti più umili, risultano più autentiche. Allora l’aggettivo «riannodabile» diviene più corrispondente al vissuto di quanto non sia quello che dichiara il nodo in ogni caso impossibile da sciogliersi: «l’uomo e la donna creano la loro strada percorrendola».

Piero Stefani

 




[1] Anticipo un articolo di prossima pubblicazione sulla rivista barese Tempopieno. Rivista per la scuola

[2]  A. Manzoni, Del sistema che fonda la morale sull’utilità, appendice al Capitolo III di Osservazioni sulla morale cattolica [1855] in  Scritti filosofici a cura di R. Quadrelli, Bur, Rizzoli, Milano 1976, pp.213-257

307 – L’uomo crea la sua strada percorrendola[1] (26.09.2010)ultima modifica: 2010-09-25T11:18:00+02:00da piero-stefani
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Un pensiero su “307 – L’uomo crea la sua strada percorrendola[1] (26.09.2010)

  1. Che le decisioni che prendiamo siano “giuste o sbagliate a motivo della loro intenzione originaria” è quantomeno discutibile. La responsabilità dell’esito delle nostre azioni ricade comunque su di noi, a prescindere dalle nostre intenzioni.

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