225 – Il principio di Gamaliele (16.11.08)

Il pensiero della settimana, n. 225

 

    Quando si può dire che la storia dà ragione a qualcuno? La frase è comune. Eppure attribuire agli accadimenti o alla semplice capacità di durare nel tempo il ruolo di verifica del giusto e dell’ingiusto comporta non tutelare l’irrinunciabile distanza esistente tra l’essere e il dover essere.  Questo principio, che pare dar sempre torto agli sconfitti, ai perdenti, alle vittime, è perciò circonfuso da qualcosa di oscuro e persino di crudele. Tuttavia, qualcuno potrebbe obiettare, cosa sarebbe stato di Gesù se alla morte in croce non fosse seguita la resurrezione? A costui però si potrebbe controbiettare che la resurrezione non può essere intesa come un evento storico paragonabile a tutti gli altri. Se lo sfolgorio della domenica di Pasqua si presentasse come fatto tra i fatti sarebbe un trionfo troppo basso, anzi sarebbe ingiustificato privilegio nei confronti degli infiniti morti mai storicamente risorti.

Vi è un passo degli Atti degli  apostoli che sembra, però, attribuire al sussistere un valore di garanzia divina. Si tratta della discussione avvenuta in Sinedrio a proposito delle misure da prendere nei confronti degli apostoli e del  parere espresso al riguardo da un venerato maestro fariseo, Gamaliele il vecchio. Il dottore della Legge in quelle circostanze affermò che non bisogna stroncare e reprimere il movimento che fa capo agli apostoli. Per sostenere questa linea di condotta ricordò che sorsero altri personaggi dotati di  pretese messianiche,  Teuda e Giuda il Galileo. Fu una vampata: la forza travolgente dell’inizio cedette ben presto il posto al fallimento: «ora perciò vi dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questo piano o questa opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerla. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!» (At 5, 38-39). Il dottore della Legge ammonì dunque i suoi colleghi che parlavano in nome di Dio a non opporsi all’autentica volontà divina. 

Il ‘principio di Gamaliele’ si basa sulla scelta di dar voce a quanto accade. In ciò risiede la sua parte di verità: i fatti non vanno mai occultati. Bisogna però guardarsi dal prenderlo nel senso ingenuo secondo il quale la durata è garanzia di verità. Non si può dimenticare che i sapienti e i saggi, in base a un corretto uso della ragione, hanno ben messo in luce la falsità dell’argomento basato sulla pura durata. Non a caso esso è adoperato da molteplici tradizioni religiose per affermare le proprie antitetiche verità. Le parole usate da Spinoza in una lettera al suo ex discepolo Burgh, che vantava la secolare durata del cattolicesimo, restano tuttora convincenti: i rabbini dicono le stesse cose dei cattolici e con maggior ragione.

Non occorre peraltro rivolgersi ai «sapienti di questo mondo». Lo stesso vangelo smaschera l’argomento: il fatto di durare nel tempo non dà garanzie di camminare nel vero. Non bisogna dimenticare che nel campo del mondo crescono assieme grano e zizzania (Mt 13,24-31), né l’una è meno tenace dell’altro. L’appello al giudizio finale con cui si chiude la parabola attesta l’irrinunciabile principio secondo cui la storia non può giudicare se stessa. Il giudizio ultimo e vero spetta solo a Dio e alla sua parola. Se il durare fosse in se stesso garanzia di verità il giudizio spetterebbe infatti alla storia e non alla parola. Dobbiamo dire i fatti ma non attribuire ad essi il valore ultimo e discriminante, a meno che non siano nella storia e, nel contempo, oltre essa. Ciò può avvenire soltanto quando negli avvenimenti si manifesta l’azione di Dio; in tutti questi casi il discernimento resta arduo e ogni facile, sacralizzante, etichetta è sospetta, se non empia.

Il ‘principio di Gamaliele’ raggiunge il valore massimo allorché è assunto nel suo versante negativo. Esso va preso non come assicurazione, bensì come monito. Il suo valore sta nell’indicare quanto non si deve fare. Le autorità non dovrebbero mai impiegare la forza per impedire la testimonianza dei fatti o per tacitare le parole pronunciate secondo verità. Le considerazioni del dottore della Legge esprimono, in definitiva, la consapevolezza di quanto sia forte il potere della violenza: «nulla è più crudele nei riguardi del passato che il luogo comune secondo cui la forza è impotente a distruggere i valori spirituali» (Simone Weil). Il ‘principio di Gamaliele’ afferma semplicemente: «non nel suo Nome». Mai la forza della repressione dovrebbe essere esercitata facendosi scudo di Dio. Il nome che vincola nel modo più stretto e più inerme non è legato alla forza. Per gli apostoli si trattava del nome del loro Maestro e Signore «e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù…»; gli apostoli però «continuarono a portare ogni giorno il lieto annuncio che Gesù è il Cristo» (At 5,40.42).

 Il ‘principio di Gamaliele’, tante volte disatteso dai potenti e dalle Chiese, afferma in definitiva solo questo: «mai più guerre (siano o non siano combattute con le armi) nel nome di Dio». Colto sotto questa angolatura, esso resta un monito tanto attuale quanto disatteso.

Piero Stefani

225 – Il principio di Gamaliele (16.11.08)ultima modifica: 2008-11-15T06:15:00+01:00da piero-stefani
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