160 – Il principio di fraternità (27.05.07)

Il pensiero della settimana n. 160

 

I ‘sacri’ principi dell’89 parlano di libertà, uguaglianza e fraternità.  Nel modo in cui sono stati allora articolati si ha l’impressione che la fraternità fosse una specie di bilanciamento degli altri due diritti. Sembra di poter concludere, più o meno, nel modo seguente: tutti  gli uomini nascono uguali nei loro diritti, tuttavia l’esercizio della libertà – si pensi al campo economico – crea disuguaglianze. Esse sono giustificate (come recita la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino) in vista dell’utilità comune. Il vantaggio è collettivo, ma qualcuno è più favorito di altri. Per attenuare questo sbilanciamento si ricorre alla fraternità che dovrebbe assicurare un senso di solidarietà anche là dove, come avviene nelle famiglie, ci sono fratelli maggiori e minori

Date le premesse, non stupisce constatare che, a partire dal XIX sec, l’ambito in cui l’appello alla fratellanza è risultato più efficace sia stato quello politico o, meglio ancora, patriottico. Rispetto al territorio patrio le differenze sociali tendono ad affievolirsi al fine di affermare una causa comune. Va da sé che il senso di solidarietà fraterna è stato, nella grande faida otto-novecentesca tra le famiglie statali europee, rinsaldato per lo più in contrapposizione ad altri. Lette in questa chiave, le parole dell’inno nazionale italiano non sono solo anacronistiche ma anche inaccettabili.

Il tentativo più consistente  di dare un respiro universale e cosmopolitico al termine fratellanza lo si ha nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Al riguardo è utile compiere qualche precisazione. In una prima stesura essa recitava così: «Tutti gli uomini sono fratelli. Come esseri dotati di ragione e membri di una sola famiglia essi sono liberi e uguali in dignità e diritti». Il dibattito attorno al nostro articolo ha introdotto due fondamentali modifiche a questa stesura. La prima, di ordine antropologico, ha inserito accanto alla ragione il riferimento alla coscienza. Per comprenderlo, occorre precisare che essa rappresenta il «sentimento che esistono gli altri uomini». Dunque si tratta molto più di senso di responsabilità che di autocoscienza del soggetto. La seconda variante trasferisce la fratellanza da una constatazione assertoria («tutti gli uomini sono fratelli») a un impegno legato all’agire. La formulazione finale è infatti la seguente: «Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire l’un l’altro in spirito di fraternità».

Partire da una fratellanza come dato di fatto conduce a poco. La fraternità è, per più aspetti, piuttosto un legame da costruire. Si potrebbe  evocare una specie di analogia con la parabola del «buon samaritano» (Lc   10, 25-37). In essa si parte  da  una richiesta di stabilire i confini di chi debba ritenersi prossimo e si conclude, grazie al racconto proposto da Gesù, che quanto conta è diventare prossimo a chi, per altri, è e resta un estraneo. A rendere gli uomini fratelli è la concreta propensione ad agire gli uni verso gli altri in modo fraterno. Pure in questo caso si potrebbe affermare: divieni quel che sei.

In realtà una base comune va presupposta. Nella parabola evangelica il ferito lasciato mezzo morto ai margini della strada è definito in modo generico, ma ugualmente in grado di dire il nocciolo di quanto ci accomuna: «un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…». La comune umanità è base innegabile. Prendere atto di essere fratelli non è una scelta, è constatazione. Ci si trova in una relazione che ci  precede: si è fratelli per nascita. Rispetto a questo punto di partenza non vi è spazio per il libero arbitrio; si è di fronte  a un dato punto e basta. Non ci è concesso di scegliere né i genitori, né i fratelli. Si è però chiamati ad assumere un comportamento che sappia trasformare in agire una condizione oggettiva. Come è universalmente noto, ciò è tutt’altro che scontato: le liti tra fratelli sono inscritte nei primordi della storia umana.

Nel Cantico di frate Sole Francesco  celebra  legami universali che estendono l’essere fratelli e sorelle al sole, alla luna, alle stelle, al vento, all’acqua, al fuoco. Tutti si riconoscono fratelli in virtù della comune lode elevata al loro Creatore. A un certo punto però, proprio là dove si introduce una velata allusione ai viventi, il discorso muta. Accanto al discorso sulla fratellanza si inserisce quello sulla maternità: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, / la quale ne sustenta et governa, / et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba». Alle spalle di questi versi, ancor più di ataviche mentalità contadine, vi è la Genesi e il comando dato da Dio alla terra di produrre sia vegetali (Gen 1,11) sia animali (Gen 1,24). La maternità della terra ci accomuna, mentre quella del territorio e delle patrie ci divide. Tutti dipendiamo dalla fecondità della terra, tutti, per vivere, succhiamo alle sue mammelle. È percezione antica, pagana, ma, se attraverso la terra si loda Dio, non è estranea neppure al mondo biblico. Questo senso, antico di millenni, negli ultimi tempi è mutato in profondità. Si potrebbe dire che dalla Genesi si è passati all’Esodo, specificatamente al comandamento che impone di onorare padre e madre (Es 20,12). Come indica il verbo,  non si tratta di una parola rivolta ai bimbi: agli adulti è imposto di avere rispetto e devozione nei confronti di coloro da cui hanno ricevuto la vita anche quando, con gli anni, sono entrati in una condizione di impotenza.

La madre terra sfruttata e strizzata come un limone si avvia a essere decrepita. L’onore nei suoi confronti coincide con la salvezza dei suoi figli. Gli esseri umani sono fratelli a causa del comune sostentamento, ma dovrebbero esserlo, agendo l’uno verso l’altro in modo solidale, anche a motivo dell’onore e della cura da riservare alla loro vecchia madre ormai prossima a un’irreversibile impotenza. Qui agli uomini non è concessa la possibilità di affidarsi ad altri: loro stessi devono farsi badanti. All’inizio del XXI sec. la tutela della terra dovrebbe essere riferimento decisivo perché gli esseri umani si comportino reciprocamente in spirito di fratellanza. Così dovrebbe avvenire in linea di principio; nell’ordine dei fatti si constata invece l’esistenza di furiosi litigi intorno al letto della madre morente. L’esistenza di risorse sempre più limitate e precarie, lungi da indurre a rafforzare la vicinanza, moltiplica i contrasti. Proprio quando l’agire l’uno verso l’altro con spirito di fraternità si prospetta come l’unico modo per salvare se stessi e la madre terra, l’umanità sembra aver scelto di incamminarsi litigiosamente verso la catastrofe. All’inizio della civiltà umana c’è stato un fratricidio (Gen 4,1-22) la sua fine, forse, coinciderà con un matricidio.

 Piero Stefani

160 – Il principio di fraternità (27.05.07)ultima modifica: 2007-05-26T11:15:00+02:00da piero-stefani
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