159 – Bibbia e politica (20.05.07)

Il  pensiero della settimana, n. 159

 

Il 9 maggio scorso in Campidoglio si è conclusa la lunga avventura, patrocinata da Biblia, legata a una raccolta di firme dirette a favorire una più significativa presenza della Bibbia nella scuola.  Le adesioni sono state quasi diecimila. Qui non è il caso di descrivere l’andamento di un incontro che ha affiancato alle brevi, ma intense, relazioni di Pietro Gibellini, Antonio Paolucci e Pietro Scoppola gli interventi di adesione del card. Achille Silvestrini, del rabbino Roberto Della Rocca e della pastora Maria Bonafede (Moderatora della Tavola Valedese). Quanto conta, è discutere di idee.

Che la Bibbia abbia a che fare con arte e letteratura è un’ovvietà che vedono tutti, anche se pochi ne traggono le debite conseguenze. Meno scontato è cogliere che essa ha a che fare, a tutt’oggi,  con la politica intesa nel senso alto e nobile del termine. A tal proposito tornano alla mente le parole di Desmond Tutu. Il grande vescovo e leader dichiarava, ironicamente, di essere perplesso su quale Bibbia la gente legga quando afferma che la religione e la politica non si mescolano (to mix). Tutto sta nello stabilire i modi di questo mescolamento da cui non consegue, di necessità, alcuna indebita invasione di campo. La Bibbia non va confusa con la Chiesa. In Campidoglio autorevoli parole al riguardo sono state pronunciate da Scoppola. Le linee da lui tracciate possono riassumersi in questo ampio stralcio del suo intervento:

«La Bibbia è radicalmente alternativa a tutte quelle visioni ideologiche che hanno dominato e insanguinato il secolo scorso. Visioni che hanno preteso di indicare in un determinato ordinamento sociale l’origine e la causa del male e perciò hanno prospettato in un evento rivoluzionario il momento risolutivo e liberatorio della storia umana.

La Bibbia con il suo realismo sulla condizione umana, con la sua visione disincantata sull’uso e sugli abusi del potere ha alimentato e alimenta invece quella cultura che ha ispirato ed ispira tutto il movimento storico che, a partire dalla affermazione dei diritti civili, ha portato ad affermare la limitazione dei poteri del sovrano, al principio della divisione dei poteri, alla esigenza di un ricambio nella gestione del potere sino alle forme moderne del costituzionalismo e della democrazia.

Ma per altro verso la Bibbia esprime una forte carica escatologica che, sia in una sua versione laica e sia anche  per il credente,  è stata storicamente e rimane un forte motivo di impegno nella società e nella storia nel senso di un’affermazione dei valori di solidarietà e di progresso. Nel momento stesso in cui propone una visione disincantata sull’uomo e sul potere, la Bibbia non condanna la società umana all’immobilismo e alla sconfitta ma la sfida in direzione di una ricerca di traguardi nuovi e più alti.»

Si  potrebbero ritrascrivere le considerazioni qui proposte riconducendole ai primi due libri della Bibbia. La verità ‘politica’ (ancor più che teologica) della Genesi è il ‘peccato originale’, quella dell’esodo è la sete di liberazione. Il libro delle origini presenta un’antropologia incentrata sulla finitezza umana. Vi sono limiti oggettivi che tracciano precisi confini. Non tutto dipende dalle condizioni politiche e sociali; perciò, modificando queste ultime, non si può sperare di giungere a una rigenerazione totale.  In  proposito le pensose parole di Manzoni su Robespierre (cfr. il dialogo dell’Invenzione) restano di una profondità esemplare. Tuttavia non vi è solo il realismo della rassegnazione. Imputare tutti i mali alla natura o agli individui senza chiamare in causa la società è prospettiva cara ai privilegiati, non agli oppressi. Non vi è politica degna di questo nome senza porre al centro la dignità e il bisogno di libertà degli asserviti. L’uscita del popolo ebraico dalla casa di schiavitù egiziana ha inculcato nell’Occidente una spinta verso la libertà di lunga durata che ha inciso sulla storia. Per accorgersene non è necessario giungere a Ernst Bloch (e ancor meno a Michel Walzer).

Specie guardando alla prima metà del XIX sec. si constata l’esistenza di una scissione:  i reazionari si sono fatti forti della verità della Genesi, i rivoluzionari di quella dell’Esodo. Quasi nessuno ha cercato una, peraltro difficilissima e sempre precaria, sintesi tra le due polarità. Tale  mancanza ha fatto versare molto sangue. Le ‘radici bibliche dell’Europa’ si trovano anche in virtualità mai realizzate. La virtuosa posizione intermedia potrebbe trovarsi solo in una democrazia che faccia propri motivi sia sociali sia liberali. Essa è chiamata a riconoscere i limiti senza stemperare gli slanci ideali. Nel suo ambito, forse, non sarebbe vano ripetere la formula che modera il pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà.

Oggi l’intelletto ci obbliga a mettere in rilievo l’esistenza di una profonda degenerazione massmediatica della democrazia. Si può riassumere la tendenza ricorrendo a  una semplice formula: la vera ambizione dei politici è ormai vincere, non governare. Anche le democrazie si sono fatte sportive. Non a caso la presenza popolare (qualunque schieramento si appoggi) assume ormai assai più i caratteri del tifo che della partecipazione. In questo contesto pensare di ricavare insegnamenti politici dalle visioni bibliche dell’uomo e della società evoca la lotta di Davide contro Golia. In questi tempi, per sconfiggere le armature del potere, l’ottimismo della volontà deve affidarsi ai racconti che parlano della fionda di un giovane pastore.

Piero Stefani

 

 

159 – Bibbia e politica (20.05.07)ultima modifica: 2007-05-19T11:20:00+02:00da piero-stefani
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