158 – La politicizzazione dell’etica (13.05.07)

Il pensiero della settimana, n. 158

 

In questi giorni si parla di nuovo molto di difesa della laicità dello stato. Il discorso torna su temi visti e rivisti, mai risolti e mai eliminati.  In queste reiterate discussioni non di rado appare un monito: «Date a Cesare…». Esso è prospettato come una parola incontrovertibile in base alla quale la laicità dello stato va sottoscritta obbligatoriamente anche dai credenti. Essi devono manifestare perciò una duplice fedeltà, a Dio e a Cesare, ognuna valida nel proprio ambito: il primo si occupa di faccende spirituali, il secondo di quelle temporali. Insomma, si tratterebbe di riproporre una posizione prossima a quella liberale che trova il proprio emblema nella sentenza di Cavour: libera chiesa in libero stato. Anacronismo puro.

Alle spalle di simili visioni vi è una implicita convinzione antropologica stando alla quale la religione riguarda, in sostanza, solo una parte della persona (lo spirito, l’anima e la loro sorte), mentre la politica concerne la comune dimensione terrena. Nel XIX sec. anche i più ferventi liberali erano propensi ad avere un prete presso il loro letto di morte. Quando non c’è più nulla da fare non resta, coerentemente,  che pregare. I tempi però sono largamente mutati. In realtà, solo chi non la pratica può ritenere che la religione riguardi esclusivamente una supposta dimensione spirituale. Quindi la soluzione basata sul ‘parallelismo delle competenze’ non può funzionare: esistono ed esisteranno sempre punti di tangenza. Una persona di fede può (erroneamente) amare il prossimo solo per motivi spirituali (un tempo si sarebbe detto: per salvarsi l’anima), tuttavia se ciò comporta dargli da mangiare o impegnarsi per la tutela della sua libertà il credente incide,  anche se di poco, sulla sfera sociale e politica. Ciò diviene assai più rilevante quando sono in ballo istituzioni religiose. La dimensione collettiva diviene allora corposa e rilevante.

Nella storia italiana si è imposta la necessità di cercare vie istituzionali e politiche diverse da quelle in auge nello stato liberale. In relazione alle istituzioni si impongono tre date: 1929, 1947, 1984. L’architrave perciò è fornito dal concordato, dalla sua integrale assunzione all’interno della costituzione repubblicana (art. 7) e dalla sua revisione bilaterale stipulata tra le due parti. L’aspetto politico si è concentrato invece sulla nascita, crescita, lenta decadenza e repentina morte della DC. Nella prassi quotidiana, la tangenza tra stato e chiesa era mediata dalla presenza dell’unità politica dei cattolici. Negli ultimi anni la vita pubblica italiana è stata contraddistinta, da un lato, dal mantenimento dell’asse istituzionale e, dall’altro, politicamente, dall’ingresso in un’era postdemocristiana. Forse la persona che con più efficacia si è accorta della situazione è stato il card. Camillo Ruini. Questa sua perspicacia obbligherà gli storici a occuparsi di lui quando ricostruiranno la vita politica dell’Italia a cavallo del secondo millennio. Rispetto a questo quadro mons. Bagnasco è un pallido epigono, inopinatamente  divenuto presidente della Cei solo per l’azione congiunta della nomina del card. Bertone a Segretario di Stato e della bocciatura della candidatura forte del card. Scola (il dinamico e schierato patriarca di Venezia  avrebbe creato troppi disagi ai, per lo più incolori, vescovi italiani).

La mossa politica vincente nella realtà postdemocristiana è legata, in buona parte, a una sola parola: valori. Averli sistematicamente riproposti, lungi dall’aver eticizzato la politica (e ancor meno i politici), ha politicizzato l’etica. Non a caso, il discorso sui valori negoziabili o non negoziabili è divenuto, sull’uno o sull’altro fronte, un vero e proprio modo per coagulare lo scontro politico. La morale è diventata un fatto politico. Stando così le cose, in base a una logica a suo modo stringente, la coerenza personale non c’entra più nulla. Dunque chi nella vita individuale non si attiene ai valori che difende in pubblico va, per definizione, accolto a braccia aperte. Di contro, la messa in pratica di quei valori nella propria esistenza non svolge alcun ruolo testimoniale. La scelta di non volerli trasferire direttamente nell’arena politica è sufficiente a tirarsi addosso una sconfessione radicale. Se si dà ascolto all’attuale magistero cattolico, è difficile sfuggire all’impressione che l’etica abbia sempre più eroso i territori propri della fede. Tuttavia in Italia questa prima operazione si è prolungata in processi ancor più secolarizzati. Essi hanno condotto a rendere l’etica parte integrante di giochi politici finalizzati alla conquista o alla gestione del potere. La moralità non è più richiesta ai politici per eccesso di sovraesposizione. La difesa dei valori ha preso il posto della loro pratica. L’autonomia del politico si è raggiunta per una via più efficace (e meschina) di quella proposta a suo tempo dal grande Machiavelli.

Piero Stefani

158 – La politicizzazione dell’etica (13.05.07)ultima modifica: 2007-05-12T11:25:00+02:00da piero-stefani
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