147 – L’ibridazione degli opposti (25.02.07)

Il pensiero della settimana,  n. 147

 

Nel mondo contemporaneo la fruizione dell’opera d’arte è sottoposta a un andamento pendolare che consente di affermare sia che la montagna va da Maometto sia che quest’ultimo va alla montagna. Da un lato si ha la riproducibilità tecnica delle immagini e dei suoni, dall’altra si registra la crescente, incontenibile moltiplicazione dell’accesso ai capolavori artistici. In base al primo fenomeno l’arte raggiunge il fruitore ovunque: nei recessi della sua casa, nei prati e nei boschi, nelle vetture della metropolitana, nelle aule scolastiche, ecc. Dappertutto si possono ascoltare i capolavori assoluti della storia della musica od osservare le riproduzioni dei quadri più eccelsi. Il secondo fenomeno si manifesta soprattutto nelle masse turistiche che gremiscono le città d’arte.  Nonostante tutto occorre andare sui luoghi per vedere gli originali. Ma li si osserva davvero?

Le moltitudini dei turisti favoriscono, ovunque, la crescita del piccolo commercio: ambulanti extracomunitari cercano di vendere oggetti di tutti i tipi, le bancarelle sono piene di chincaglieria, di souvenir di pessimo gusto e delle immancabili magliette dei calciatori. La mediazione tra i due fenomeni dell’essere raggiunti ovunque e del recarsi nei luoghi, sta nei segni dell’avvenuto passaggio. Da qui il pletorico commercio di oggetti simbolo: le gondole, le torri di Pisa, i colossei di  plastica invadono il mondo. L’Italia invade il pianeta attraverso la sua paccottiglia. Lo stesso vale per le foto scattate dai turisti, spesso legate a liturgie standard (l’inquadratura in base alla quale con la mano si sostiene la torre cadente, la gondola sotto il ponte dei sospiri, ecc.).

Ai nostri giorni il destino del bello è di essere circondato dal brutto. L’assedio avviene in maniera più incalzante rispetto alle modalità in cui le periferie circondano i centri storici. Il brutto qui è prodotto dall’atto stesso di vedere il bello. I due estremi si tengono. La presenza di antichi capolavori artistici diventa fonte di sussistenza per migliaia di persone solo attraverso la mediazione del brutto. Quando la bellezza è circondata dalla bellezza, si tratta, quasi sempre, di un bello riservato a pochissimi.

Cosa ricavare da tutto ciò? La bruttezza succhierà la linfa della bellezza fino a estinguerla del tutto? Se fosse così si andrebbe incontro a una pura autodistruzione. Nessuno si recherebbe in posti universalmente ritenuti orrendi. Resisi conto del pericolo, i centri storici cercano di salvaguardare qualche spazio rendendolo più bello e vivibile. Negarlo comporterebbe rifiutare l’evidenza. L’allargamento delle zone pedonali ha migliorato le visite a molti centri storici, il rinnovamento di musei e l’allestimento più accurato di mostre hanno reso meglio visibili capolavori; restauri sempre più rispettosi del passato sono subentrati agli sventramenti. L’abbraccio del brutto non è solo quello del parassita che fa morire la pianta a cui si avvinghia. Eppure chi può escludere che il rischio sia incombente? Venezia, moribonda per spopolamento, potrebbe davvero morire per  un allagamento che viene dai turisti più che dalla laguna. I cultori del bello si rifugiano ormai in luoghi minori, visitano borghi, vanno alla ricerca di qualche quadro conservato in remote sagrestie. Nelle loro peregrinazioni rischiano, però, di essere pifferai magici, avanguardia di impetuose ondate  di più comuni visitatori.

Mai come in questi anni si è ripetuta la frase di Dostoewskij secondo cui sarà la bellezza a salvare il mondo, ma mai come ai nostri giorni diviene impellente l’imperativo inverso che impone di salvare la bellezza. Il bello va salvato innanzitutto dall’assalto che gli portiamo noi stessi nel tentativo di raggiungerlo. Vi è un nocciolo duro di verità nel presentare i turisti come anti-Mida che trasformano in piombo tutto quanto toccano. Eppure, non foss’altro che per salvaguardare il gettito economico, si sente pure l’urgenza di salvare il salvabile, ciò vale tanto per le città d’arte quanto per i parchi, le vette, le spiagge, le paludi. È un po’ come avviene per l’inquinamento, lo sfruttamento è stato attuato per ragioni brutalmente economiche, ma ora ci si rende conto che, nei paesi più sviluppati, gli investimenti economici più avveduti vanno rivolti al tardissimo tentativo di salvarsi dal disastro.

Rispetto al godimento del bello, in  luogo della sintesi degli opposti, vi è la loro pura e semplice ibridazione: per questo, alla lunga, il piatto della bilancia sembra pendere più dalla parte del brutto.

Piero Stefani

 

147 – L’ibridazione degli opposti (25.02.07)ultima modifica: 2007-02-24T12:20:00+01:00da piero-stefani
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