144 – Perchè non possiamo non dirci berlusconiani (04.02.07)

Il pensiero della settimana, n. 144

 

L’articolo parte in modo bruciante, poi a poco a poco sembra sperdersi nelle spire dei testi, scritti con poca voglia, che cercano di allungare il brodo senza diluirne troppo il sapore. In questi casi è bene isolare il frammento. Così avviene anche per il pezzo di Adriano Sofri apparso sulla Repubblica di venerdì 2 febbraio: «I nomi delle cose vengono alla ribalta quando le cose smettono di esistere. Così per la privacy, sempre più evocata, in ambedue le pronunce, man mano che veniva meno la vita privata. La legislazione è un benemerito inseguimento, secchiello che vuol svuotare il mare». Il mondo delle parole sostituisce quello dei fatti. A essere garantita è la privacy, non la effettiva vita personale. La definizione legale costituisce perciò ormai la sostanza di quanto va tutelato. La firma autorizza o vieta la diffusione dei dati. L’astrazione degli estremi burocratici prende il posto della vita reale.

Il secchiello legislativo non può svuotare l’oceano dei talk show. A un primo livello, si potrebbe tentare di definire questo fenomeno televisivo affermando che il suo scopo (pienamente conseguito) è stato di rendere spettacolo il pettegolezzo. Tuttavia si tratterebbe di una definizione colpevolmente riduttiva. Innanzitutto, il dilagare di questo tipo di trasmissioni ha fatto sì che l’autopettegolezzo risulti il modo vincente di stare in pubblico. Perciò chi è maggiormente capace di essere raccontato e di raccontarsi diviene, a prescindere dai contenuti,  l’uomo più pubblico. Il nostro è il tempo in cui il potere è di narcisi capaci di scongiurare ogni esito infausto: per essere sicuri di non annegare, hanno compiuto l’operazione, semplicissima, di trasformare in immagine anche l’acqua.

Il gossip è diventato una forma di esercizio del potere. È quindi inevitabile  che le vere lotte di potere riguardino il mondo della chiacchiera privato-pubblica. Quali che siano le maggioranza di governo la faccenda non muta. Tutti, se vogliono stare davvero sul proscenio, sono obbligati a parlare quel linguaggio; altrimenti, anche se risiedono sul colle, contano poco. Occorre tirare la debita conclusione: chi è stato il primo e più efficace navigatore di quei mari – impossibili da svuotare con secchielli legislativi o giudiziari – sarà sempre, de facto, il principale nocchiero del nostro povero paese.

Le parole sono un mondo a se stante, esse perciò ben si prestano a  mascherare i fatti. Il commissario straordinario della FIGC, dopo l’uccisione di un poliziotto, sospende a oltranza i campionati di calcio conquistandosi fama imperitura. Tutti siamo ormai obbligati a sapere che esiste tal Luca Pancalli. Il commissario, nell’annunciare la sua drastica decisione, non riesce però a non ripetere la formula di rito: «fatti che nulla hanno a che vedere con lo sport». Da molti anni è invece palese che essi fanno parte integrante del gioco. Per provarlo basta guardare a quanto è giudicato normale. In base a un elenco incompleto, si possono enumerare alcuni comportamenti dati per scontati: a) ogni partita mobilita migliaia di poliziotti in tenuta antisommossa, b) i tifosi sono scortati, dalle e alle stazioni, dalle forze dell’ordine, c) i treni sono regolarmente danneggiati, d) gli ultras sono dotati di petardi, fumogeni, armi improprie  e si organizzano in bande, e) in base a un patto non scritto, gli stadi sono sempre più lasciati ai facinorosi mentre i «tifosi moderati» stanno in poltrona di fronte ai televisori, f) il controllo degli spazi televisivi calcistici è divenuta componente indispensabile per conquistare il potere; g) il luogo deputato della chiacchiera sportiva si è trasferito da vecchi, fumosi e innocui bar agli studi televisivi decisivi per la formazione e il controllo dell’opinione pubblica, h) in quasi tutti i mass media così come fra la gente, le grandi, appassionate discussioni sul giusto e sull’ingiusto sono poste in relazione più alle decisioni arbitrali che ai grandi  valori sociali e civili, i) le conseguenze nichilistiche di questa riduzione dell’idea di giustizia hanno ripercussioni dirette sui fattori che scatenano le rivolte (i «circenses» si sono mangiati il pane). Eppure è obbligo ripetere: tutto ciò non ha nulla a che vedere con il calcio. Corruzione, doping, affari di tutti i tipi, senso della competitività ad oltranza sono, con ogni evidenza, componenti costitutive dello sport tuttavia è uso  dire che con esso non hanno nulla da spartire.

Piero Stefani

144 – Perchè non possiamo non dirci berlusconiani (04.02.07)ultima modifica: 2007-02-03T12:35:00+01:00da piero-stefani
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