Il pensiero della settimana, n.133
Nella Genesi due sono i racconti che narrano la creazione della coppia umana. Nel primo appaiono subito il maschio e la femmina fatti a immagine di Dio (Gen 1, 27); nel secondo l’uomo è plasmato solo. All’inizio egli sperimenta una solitudine che la stessa voce divina dichiara non buona e che non è vinta neppure dalla presenza corale degli animali ai quali l’uomo impone il nome. Per trovare un aiuto che gli stia come un «suo di fronte» (ebraico, negado Gen 2,20) occorreva che il Signore Dio costruisse dalla sua costola un altro essere vivente, la donna. Si innalza allora il grido di esultanza dell’uomo: «questa volta è carne della mia carne e ossa delle mie ossa» (Gen 2,23). È lui a dare il nome a lei: la si chiamerà ishshà (donna) perché dall’ish (uomo) è stata tratta. Segue la glossa «matrimoniale» in base alla quale l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna «e i due saranno una carne sola» (Gen 2, 24 ).
Il versante «maschilista» del racconto non sta solo nella costola. Che l’uomo perda una parte di se stesso per trovare il «suo di fronte» di per sé non indica una superiorità. Anzi, come afferma, con fine ironia, un commento ebraico, ciò può persino attestare la maggior resistenza della donna fatta di osso rispetto a quella dell’uomo plasmato dalla terra e quindi paragonabile a un fragile coccio. Lo scompenso risulta invece non occultabile quando si constata che a esultare è solo la voce maschile. Su questa pagina il silenzio della donna pesa come una cappa di piombo. Ciò trova corrispondenza nel fatto che spetta solo all’uomo andare alla ricerca della sua donna. Qui ogni bilateralità è assente. La normativa ebraica ne trae le conseguenze: per il maschio è obbligo sposarsi, mentre la donna deve solo attendere che le sia fatta la proposta. In quest’ottica, «e i due saranno una carne sola» viene coerentemente interpretato – cfr. Rashì, ad locum – come se la fusione si realizzasse solo nei figli nati dalla coppia. Se non si genera. il matrimonio è, quindi, zoppo. Non a caso una delle cause di ripudio, in cui lui può allontanare lei, è la sterilità. Lo sbilanciamento iniziale della pagina biblica tira dietro di sé ricadute a catena.
Quando a Gesù fu posta la domanda del perché Mosè – vale a dire la Legge di Dio – avesse concesso all’uomo di ricorrere al libello del ripudio (Dt 24,1), egli rispose affermando che ciò fu dovuto alla «durezza del cuore» ma che all’inizio non era così (cfr. Mt 19, 5; Mc 10, 5). Nei vangeli l’impatto del richiamo «al principio» è molto più forte in Marco che in Matteo (dove prevale la preoccupazione di inserirsi nel dibattito legale del tempo). Nel secondo vangelo si afferma: «All’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola» (Mc 10, 6). Marco unisce e abbrevia. Dei due fa uno. Piglia dal primo racconto la duplicità originaria della coppia, afferma l’abbandono delle proprie origini da parte dell’uomo e celebra l’unione dei due, che restano tali anche quando formano un’unica carne. Da ciò si deduce che la durezza del cuore non è altro che lo scompenso in cui il maschio prevale sulla femmina
Solo trasferendo al matrimonio l’originaria uguaglianza e la pari dignità dei due si può sperare che le nozze reggano alla lima del tempo. L’origine va perciò conquistata giorno dopo giorno. La quotidiana riconferma è necessaria. La pari dignità dell’uomo e della donna presente in Marco si riflette, del resto, anche sul «lato mancante»; infatti, scostandosi dalla normativa biblica, lì si ipotizza anche il caso che sia la donna a ripudiare l’uomo (Mc 10,11).
Per la Chiesa cattolica di rito latino il matrimonio è un sacramento di cui sono ministri gli sposi. Per celebrarlo occorre la voce sia di lui sia di lei. Nessuno può sostituire l’altro. La formula attuale «accolgo te» non varia nel caso dell’uomo e della donna. La definitività della scelta può reggersi solo sul libero, gioioso incontro di due voci che dicono l’una all’altra la stessa cosa. In tutta la vita della Chiesa è l’unico momento in cui ciò avviene. Anche per questo la coppia, a differenza della famiglia, non è davvero posta al centro della vita ecclesiale. Eppure nessun sacramento consacra il rapporto genitori-figli e viceversa (il battesimo è altra cosa). Nella famiglia i legami si costituiscono in altro modo; sono dati non scelti. Il matrimonio è invece un sacramento che celebra la libertà, la parità e l’aiuto reciproco. La paradossalità del fatto che, proprio in nome di questi valori, aumentino sempre di più le coppie che non lo contraggono, può pure testimoniare che, nella cultura attuale, libertà e parità sono spesso coniugati in modo riduttivo, tuttavia ciò è avvenuto anche perché troppe volte all’interno della Chiesa sono state ammutolite le voci libere e paritarie.
Piero Stefani