130 – Assisi, vent’anni dopo (29.10.06)

Il pensiero della settimana, n. 130

 

Il 27 ottobre del 1986, dopo la rivoluzione khomeinista iraniana (1979), ma prima della caduta del muro di Berlino (1989), Giovanni Paolo II ebbe l’intuizione di indire ad Assisi un «Incontro interreligioso di preghiera per la pace». In quel giorno di preghiera, digiuno e pellegrinaggio, i rappresentanti di dodici grandi denominazioni religiose innalzarono al cielo le proprie invocazioni. In quella stessa data venne proposta dal papa una tregua delle armi su scala mondiale. Molti vi aderirono.

A vent’anni di distanza Benedetto XVI ha ricordato la giornata inviando una lettera al vescovo della città, mons. Sorrentino. In essa papa Ratzinger constata che, tramontate le speranze di pace collegate al crollo dei regimi comunisti, negli ultimi  vent’anni gli scontri armati e  le tensioni geo-politiche si sono sviluppate in modo tale da dare l’impressione che le differenze religiose costituiscano una  minaccia per la pace. In questa luce la giornata di Assisi «assume il carattere di una puntuale profezia». Benedetto XVI ribadisce perciò il valore positivo delle religioni: «Nonostante le differenze che caratterizzano i vari cammini religiosi, il riconoscimento dell’esistenza di Dio, a cui gli uomini possono pervenire anche solo partendo dall’esperienza del creato (cfr. Rm 1,20), non può non disporre i credenti a considerare gli altri esseri umani come fratelli». A nessuno è dunque lecito strumentalizzare la religione per giustificare la violenza. A questo punto il papa stesso avanza l’inevitabile obiezione legata alle guerre di religione. La risposta è netta: «Sappiamo però che simili manifestazioni di violenza non possono attribuirsi alla religione in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo. Quando però il senso religioso raggiunge la sua maturità, genera nel credente la percezione che la fede in Dio, Creatore dell’universo e Padre di tutti, non può non promuovere tra gli altri relazioni di universale fraternità».

Davanti all’esistenza del nesso religione-violenza, oggi ancor più attuale di vent’anni fa, Benedetto XVI scagiona in maniera preventiva le religioni e addossa la responsabilità ai limiti culturali entro i quali è stato vissuto il messaggio religioso. L’operazione è riduttiva. Anzi, più precisamente, essa è inconsapevole erede di una mentalità illuminista che attribuisce i fraintendimenti alla «barbarie dei tempi». In effetti bisognerebbe saper distinguere tra fedi e avere il coraggio di indagare più a fondo sulla loro visione relativa all’origine del male. Con tutto ciò, anche in base a una considerazione pratica minimale, è obbligo concludere che, se le cose stessero nei termini proposti dal papa, l’innocenza delle religioni andrebbe, in ogni caso, di pari passo con la loro impotenza. Il loro buon annuncio non è stato in grado di mutare il cuore umano. Esse predicano la pace, ma fino a oggi il mondo è pieno di violenza.

Si potrebbe proporre una lunga serie di citazioni e avanzare interminabili elenchi di eventi in cui, nei secoli, le religioni hanno alimentato, sostenuto o giustificato guerre sacre e profane. A fronte di questa ingente montagna, la predicazione nonviolenta è, dal punto di vista quantitativo, poca cosa; rispetto alla qualità, il discorso muta però di segno. Tuttavia, merita un cenno un tema preliminare. Per le cosiddette religioni monoteiste violenza e male non coincidono in modo assoluto. Nei loro mitici racconti fondativi l’origine del male è connessa, infatti, non alla violenza ma alla trasgressione. Tutto inizia con l’infrazione di un ordine divino. A motivo dell’immensità del disastro prodotto, i soggetti che la compiono sono stati individuati in creature angeliche preumane e in figure umane primordiali che hanno compiuto una irripetibile trasgressione originaria. Solo dopo sorge il legame che stringe in un sol capo male e violenza. Per esprimerci nei termini della mitologia cristiana, Caino viene dopo la caduta di Lucifero e dopo la colpa originaria di Adamo ed Eva.

Il primo omicidio è un fratricidio. Questo genere di colpa, replicabile nel corso della storia, simboleggia la violazione dello statuto di fratellanza proprio di ogni uccisione. Su questo piano, l’appello alla fraternità affermata in nome di Dio è dotato di un senso profondo. Tuttavia a monte di Caino vi sono trasgressioni che hanno avuto come conseguenza l’esistenza di una violenza giudicata buona: quella della punizione. All’interno delle nostre società le cose non sono molto diverse: la legge è introdotta per scongiurare la violenza reciproca; la violazione legittima però la punizione la quale comporta, a sua volta, una inevitabile dose di violenza. Il peso legato al retaggio di questo nucleo profondo, in base al quale le religioni monoteiste hanno evocato, per secoli, la dimensione dell’inferno, non può essere sottovalutato. Per esorcizzare il vincolo che connette tra loro religione e violenza occorre tener conto di molti fattori, tra essi il discorso trasgressione-colpa-punizione svolge, comunque, un suo ruolo decisivo. Se si evita di affrontarlo, molte parole rischiano di restare solo nobili auspici.

Piero Stefani

130 – Assisi, vent’anni dopo (29.10.06)ultima modifica: 2006-10-28T13:50:00+02:00da piero-stefani
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