109 – In margine ai risultati elettorali (23.04.06)

Il pensiero della settimana n. 109.

 

La lettura degli esiti elettorali comporta operazioni più raffinate del computo dei  seggi e delle comparazioni con votazioni precedenti. Si tratta di un sapere che  chiama a raccolta molte competenze di natura anche sociologica e psicologica oltre che politica. Per esempio la diffusa sensazione che il voto degli italiani all’estero sia stato decisivo è paragonabile a quanto avvenne in Florida all’epoca della prima elezione di Bush. Di per sé non vale più degli altri; essendo però l’ultimo ad arrivare in una situazione indecisa è stato caricato di una «rendita di posizione» di cui sarebbe stato del tutto privo in altre circostanze.

Fin qui il  rilievo è oggettivo. Differente è il discorso legato alla sorpresa di dover prendere atto che questo voto, nato sotto l’egida del ministro Tremaglia, sia andato più a sinistra che a destra. Per venire a capo del piccolo enigma bisognerebbe avere dati precisi su percentuali e luoghi. Senza sapere come si siano effettivamente distribuiti i voti nella vastissima ed eterogenea «circoscrizione estero», ogni analisi appare velleitaria. Resta quindi il sospetto che riguardo a questo esito non sia estraneo tanto l’imbarazzo (o la vergogna) di essere rappresentati da un presidente del consiglio che fa le corna nelle foto ufficiali e distribuisce nel Parlamento europeo l’epiteto di kapo, quanto il vivere in paesi in cui l’informazione televisiva è libera dalla morsa egemonica berlusconiana.

Gli esiti elettorali incerti hanno almeno il merito di far capire a più vasto raggio il ruolo determinante delle leggi elettorali. Gli addetti ai lavori sanno da sempre che  l’attribuzione di seggi dipende in modo determinate dai sistemi elettorali e dai confini delle circoscrizioni. Non sorprende affatto perciò constatare che in certe circostanze chi ha preso più voti ha meno seggi. In una gara di tennis può succedere che chi ha fatto complessivamente più punti risulti perdente. Quel che conta infatti è il modo con cui si attribuiscono game e set, non il numero complessivo di punti vinti dall’uno o dall’altro giocatore. Tutti i contendenti ne sono a conoscenza e lo sanno prima di scendere in campo. Protestare dopo sarebbe segno di scarsa competenza. Il fatto poi sarebbe ancora più paradossale se si fosse costretti a prendere atto che all’inizio era stato proprio il perdente a prospettare le regole e a nominare l’arbitro con lo scopo di  rendere meno cocente la propria presunta sconfitta.

Di considerazioni simili alle precedenti se ne potrebbero compiere parecchie. Tuttavia val la pena di rinunciarvi per sfiorare un problema di maggior spessore culturale. Si tratta della cosiddetta questione settentrionale. Dal punto di vista elettorale essa si riduce, in pratica, al ruolo chiave riservato al Piemonte e al Friuli. In queste due regioni il voto può dare, di volta in volta, la maggioranza all’uno o all’altro schieramento. Inoltre il premio di maggioranza presente nell’attuale legge elettorale proporzionale fa sì che pure differenze lievi diventino decisive. Dal punto politico e culturale il dato saliente è invece la consolidata, e per ora immodificabile, assegnazione al centro-destra di Lombardia e Veneto. Il caso merita attenzione. Questa situazione infatti non può essere attribuita all’onnipotenza televisiva. Infatti salvi trascurabili dettagli, i messaggi comunicati via etere in quelle regioni non sono diversi da quelli che giungono in Toscana o in Emilia. Per capire come stanno le cose bisogna perciò rivolgersi a fattori di più lungo periodo rispetto a quelli connessi all’homo televisivus o agli stili di vita attuali, in sostanza troppo omogenei per giustificare questo scarto.

Un peso non secondario va riservato all’esistenza di un coacervo di equivoci interessi comuni che permea società civile e apparati amministrativi. Caratteristica che, mutata di  segno, vale, ovviamente, anche  per le ‘regioni rosse’. Tuttavia bisogna scavare pure in altre direzioni. Per affrontare la questione lombardo-veneta non va dimenticata l’importanza avuta in quell’area dalla trascorsa era democristiana. Bisogna infatti tuttora concludere che il clerico-moderatismo è stata la forma politica più consona a un  determinato tipo di forma mentis diffuso in quelle regioni. Il problema sta quindi nel capire perché proprio le zone in cui il cattolicesimo era più fiorente e la Democrazia più egemone siano diventate prima la roccaforte della Lega e poi il sicuro bacino elettorale di Forza Italia. Con le necessarie cautele non pare del tutto peregrino riferirsi in proposito addirittura ad antiche impronte lasciate dalla Controriforma, movimento che ebbe in Lombardia (anche se non in Veneto) il proprio fulcro.

A lungo il cattolicesimo è stato predicato e praticato come una grande forma di assicurazione e di garanzia dei propri possessi sia temporali sia eterni. Proprietà e beni erano i  frutti legittimi del proprio lavoro, mentre la salvezza della propria anima (o quella dei propri cari) era lo scopo primario, o forse esclusivo, della pratica religiosa. Tenersi buono il prete era un’assicurazione sulla vita eterna. Quella figura era infatti caricata di poteri enormi: dalla confessione in punto di morte poteva dipendere il destino ultraterreno. Inferno, purgatorio e paradiso erano tre porte dischiuse davanti al morente e solo il prete poteva assicurare di entrare da quella giusta. Meglio perciò garantirsi in anticipo, facendo con regolarità la pia pratica dei primi venerdì del mese, lucrando indulgenze, confessandosi almeno una volta l’anno e comunicandosi a Pasqua. In questo contesto ci sono state certamente innumerevoli vite animate da una  fede autentica, tuttavia l’ethos collettivo era simile a quello fin qui descritto. Non a caso si andava a messa anche per far vedere che ci si andava. La pratica religiosa era dunque la massima assicurazione sul futuro: Provvidenza e ex voto tutelavano i beni materiali, i sacramenti garantivano quelli eterni.

Su queste pianure, colline e montagne ha soffiato impetuoso il vento della secolarizzazione. L’intero paesaggio ne è rimasto sconvolto. Qua è la è rimasto qualche residuo di antiche modalità di pratica religiosa, in genere  anch’esse però  profondamente modificate. L’aldilà, pure quando non lo si nega, non è più interesse primario per nessuno. Tanto meno per i movimenti come CL. Tutto si gioca in un impegno per l’al di qua. Anzi, le visioni del dopo morte si ispirano in modo crescente  anche ad altri orizzonti. La credenza nella reincarnazione si diffonde sempre più; tuttavia, per la maggioranza della popolazione, la nostra civiltà resta cristiana. Si tratta, è palese, di un problema di identità (e quindi di contrapposizione, cfr. l’immigrazione musulmana) non di fede. In questo clima permane un tenace residuo assicurativo volto a garantire i propri possessi ormai considerati più certi dei beni eterni. Una forma mentis cattolica secolarizzata è tuttora uno dei fattori di cui occorre tener conto per comprendere le dinamiche proprie di Lombardia e Veneto. La miopia di molti pone invece tra parentesi il decisivo articolo «secolarizzata». Così facendo l’analisi diviene vittima del proverbiale strabismo di prendere fischi per fiaschi.

Piero Stefani

109 – In margine ai risultati elettorali (23.04.06)ultima modifica: 2006-04-22T15:35:00+02:00da piero-stefani
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