67 – Chiesa italiana e referendum (22.05.05)

Il pensiero della settimana, n. 67

 

Se le cose potessero risolversi con le boutade si potrebbe affermare che, secondo le parole del vangelo, il credente deve dire «sì, sì e no, no» mentre tutto il resto, compresa l’astensione, viene dal maligno (cfr. Mt 5,37). Gli intelligenti giochi intellettuali di solito però hanno il solo scopo di fornire una soddisfazione narcisista a chi li ha inventati; per il resto scorrono come acqua lieve sulla superficie dei problemi. Tra le clausole previste dalla Costituzione vi è anche quella (art. 75)  stando alla quale un referendum è valido solo se vi ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto. Questa disposizione autorizza indirettamente la scelta di non partecipare alle votazioni. Il non andare a votare può diventare quindi un’assunzione di responsabilità politica.

Il grano della consapevolezza rischia per queste vie di confondersi con il loglio del qualunquismo e dell’interesse; tuttavia nel campo di questo mondo anche le mescolanze hanno, a volte, ragion d’essere. L’opzione del card. Ruini di rivestire di panni più aulici lo schietto invito craxiano di andare tutti al mare è quindi politicamente legittima. Altrettanto può dirsi rispetto alla scelta di opporsi all’abrogazione di quattro articoli di una legge che, ipoteticamente, può essere sempre migliorata anche in modo parlamentare. Assommare la propria astensione a quella di chi vive pensando solo al metro quadrato d’ombra formato dalla propria persona e mettersi in una posizione in cui di fatto puoi controllare l’obbedienza dei cattolici più eminenti o visibili (per esempio le migliaia di parroci italiani) ha risvolti spiacevoli: l’antica rivendicazione democratica della segretezza del voto non si applica al non voto. Forse per questo, prima che la CEI avesse ufficialmente indicato la via dell’astensione, il giurista di curia card. Pompedda si era espresso a favore della scelta più netta e limpida di votare no. Con tutto ciò l’invito della CEI a favore del cosiddetto «doppio no» è istituzionalmente corretto. Per valutarlo dunque non bisogna far appello al senso di responsabilità che imporrebbe al cittadino di esercitare sempre il proprio diritto-dovere al voto. Parole simili si sono in effetti  udite. Esse però, anche quando non lo affermano esplicitamente, contengono il  sottinteso che bisogna andare a votare per fare vincere il «sì». Scelta legittima esattamente quanto lo è l’opposta. Anche qui la variante è in definitiva politica. Occorre accettare il fatto che nel caso dei referendum l’astensione può essere scelta consapevole. Quanto conta è discernere di volta in volta quale sia la politica che l’ispira.

Stando alle voci di corridoio il «Fausto politico» (per esprimersi alla Mazzini) del card. Ruini sarebbe stato il presidente delle ACLI Luigi Bobba. Sarebbe stato lui – capo di un’organizzazione cattolica socialmente molto meno significativa di un tempo – a prospettare la politica dell’astensionismo individuandovi la strada, tatticamente più affidabile, per conseguire il risultato politicamente più vantaggioso. Non è comunque necessario (e neppure opportuno) percorrere la via delle illazioni per giungere a una conclusione che si impone da sé: l’attuale scelta astensionista testimonia la convinzione ormai inoccultabile della Chiesa italiana di non essere più espressione della maggioranza del paese. Avendo perso nella società si cerca di salvare il salvabile rifugiandosi tra le braccia della politica. La “religione civile” (di cui il card. Ruini si ritenne pontefice nel corso dei funerali dei caduti di Nassirya) sarebbe chiamata dunque  a prendere il posto di  un ethos ormai dissoltosi.

Trent’anni fa fu proprio un referendum fortemente voluto dalla Chiesa cattolica a dimostrare a tutti che l’ethos cattolico non era più un collante maggioritario della società italiana. L’abolizione  della legge del divorzio era stata presa come linea del Piave e si rivelò invece una Caporetto. Il referendum sull’aborto fu una conferma di una tendenza ormai chiara. Quando l’ethos teneva, esso assorbiva anche le scelte politiche orientate in senso opposto. Non vi era contraddizione nel constatare che l’Italia era sia un paese cattolico sia la nazione occidentale  con  il partito comunista più forte. Di fronte alla dilagante secolarizzazione del costume e alla presa d’atto che neppure i movimenti possono incidere in modo significativo sull’ethos collettivo, i vertici della Chiesa italiana hanno imboccato la via della politica. Essi si illudono che l’interessato consenso di forze politiche, la cui forma mentis è per massima parte espressione perfetta di un costume edonistico-secolarizzato (basti pensare all’attuale presidente del consiglio), possa garantire spazi altrimenti preclusi. Questa opzione provoca disagio in molta parte del mondo cattolico e fra non pochi vescovi (in tal senso vanno letti i cauti smarcamenti presenti nella lunga intervista concessa al Corriere della sera del 17 maggio dal card. Tettamanzi); tuttavia la sistematica diseducazione al confronto serio e aperto che regna nel mondo cattolico consente solo di riproporre la polarizzazione tra i sommessi sussurri di chi sta dalla parte ufficiale e le scomposte grida di chi ne è fuori. Spettacolo consueto, ma non per questo meno deprimente.

In questa situazione il solo fatto di andare a votare diviene per i cattolici un modo per sfiduciare le scelte politiche della presidenza CEI. Può essere anche un motivo sufficiente per recarsi alle urne. Una volta entrati nel seggio per decidere cosa fare occorrerà però appellarsi ad altri parametri. Problemi seri da cui sono in gran parte esonerati gli astensionisti cattolici: per loro l’obbedienza politica e la difesa dei valori hanno infatti già trovato una tranquilla (quanto illusoria) sintesi (serenità d’animo dotata, per di più, della gratificante nota aggiuntiva di trovare ospitalità sotto un ombrellone).

Piero Stefani

 

67 – Chiesa italiana e referendum (22.05.05)ultima modifica: 2005-05-21T10:10:00+02:00da piero-stefani
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