66 – Ipotesi di un incompetente (15.05.05)

Il pensiero della settimana, n. 66 

Che le religioni abbiano a che fare con il mistero è risaputo. Da sempre esse indicano sia che dietro a quanto appare c’è qualcos’altro sia che la verità emerge solo quando si toccano gli strati più profondi. Lo svelamento di quanto è nascosto è ingrediente costitutivo anche di un genere letterario diffuso e popolare dall’Ottocento in poi: il giallo o il thriller. In esso si afferma che la vittoria del «bene» la si consegue solo quando si mette a nudo il «male», una forza, quest’ultima, che opera in maniera tanto più efficace quando più resta occulta. Non si sbaglia perciò a ritenere non casuale il fatto che questo tipo di libri sia nato in Occidente proprio in un’epoca in cui si assisteva a una progressiva e poliedrica secolarizzazione del religioso percepibile tanto in relazione alla prassi quanto in riferimento a un esoterismo sempre più propenso a trasformarsi in occultismo.

Varrebbe la pena di compiere questa indagine: il giallo poteva sorgere solo in un’età in cui antiche matrici teologico-religiose si intrecciavano sempre più con la secolarizzazione. Forse per questo la sua terra di elezione è stato il mondo anglosassone, area in cui questo impasto era, ed è, più avvertibile. A volte i legami divengono però più espliciti. Ciò avviene quando i protagonisti appartengono in modo dichiarato al mondo religioso. Un nome per tutti: Father Brown. Al giorno d’oggi però l’acuto e bonario  prete di Chesterton attrae comprensibilmente poco. Il mistero ora deve avere tratti più torbidi e scandalosi. Per chi la conosce, la storia del pensiero cristiano è un terreno in cui l’acutezza e l’occulto si mescolano in un impasto che non teme concorrenza. In base a questa intuizione Umberto Eco ha scritto un libro fortunatissimo. Il nome della rosa ha dato via a un genere giunto, in anni più recenti e morbosi, a celebrare rinnovati trionfi editoriali nel Codice Vinci. Fino a quando si è ancora in tempo, bisogna sfruttare la convinzione che la sfera religiosa sia l’ultima in cui il riferimento al sesso, ormai esauritosi in quasi tutte le sue varianti, possa essere ancora dotato di qualche risonanza scandalosa.

A questo filone si può  ascrivere  anche il libro di Linda Foster e Edmondo Lupieri, Il patto. Un thriller teologico (Diabasis, Reggio Emilia, pp. 296, € 13,50).. La sua caratteristica peculiare è di essere ambientato nei nostri anni in uno scenario esteso tra la California, Torino e il Kansas. Tutto prende l’avvio e si conclude attorno a un tema provocatorio: la clonazione di un frammento ematico proveniente da un filo della sacra Sindone. In questa luce si potrebbe riscrivere il sottotitolo in questi termini: «un thriller tecnico-teologico». Tra i vari filoni presenti nel libro ne sottolineiamo due.

Il primo, quello che sembra stare più a cuore agli autori, è connesso all’etica della ricerca. Il protagonista del libro, Gabriele Palladino (biologo italiano dotato di forte creatività) una volta emigrato negli USA è messo nelle condizioni di poter fare tutto quanto è in grado di saper fare. Questa situazione rappresenta la più inquietante cifra odierna della tecnica. Il problema capitale diviene allora sapere su quali basi si stabiliscono i limiti. Se la molla della ricerca è solo quella del successo – misurabile in termini sia finanziari sia di riuscita della propria impresa – il confine non lo si trova. Il protagonista è un esempio di tale incapacità. Anche quando è preso entro la spirale degli intrighi, Gabriele vuole scoprire, rischiando moltissimo, chi stia dietro all’organizzazione perché mosso da una curiosità paragonabile a quella della ricerca scientifica, non da una vera e propria denuncia etica. L’impianto narrativo, non dando spazio alle motivazioni di un eventuale utilizzo eticamente valido dei risultati della ricerca, denuncia di per sé la grande utopia della neutralità della tecnica. Non basta più affermare che tutto può essere impiegato a fin di bene. Superfluo, specie in queste settimane, additare la rilevanza civile del problema e ribadire quanto navighino in cattive acque coloro che, dopo aver ingenuamente difeso a lungo questa ipotesi, si trovano ora nelle condizioni di dire «alto là».

Il secondo filone  è più sorprendente e interessante. I committenti dell’impresa di «sacra clonazione» sono plurimi e in reciproco conflitto. Tra essi ci sono movimenti religiosi, o pseudo tali, di orientamento satanista, ma anche battista ed ebraico. Si tratta, è ovvio, di estremizzazioni letterarie. Tuttavia esse mettono in campo una questione cruciale. Tra religione e tecnica il confronto è aperto da tempo. Per tutta l’epoca moderna si era convinti di essere davanti a un conflitto in cui il progresso tecnico-scientifico avrebbe, alla fine, avuto partita vinta sulla religione. Una parte lo temeva, l’altra l’auspicava; tuttavia i due contendenti parlavano, in sostanza, lo stesso linguaggio. Tracce di questo approccio restano visibili. Anche nel Patto c’è chi vuole appoggiarsi alla tecnica per tentare una reductio ad absurdum di credenze religiose. Tuttavia il risvolto più innovativo è l’altro: le comunità religiose non solo hanno finora retto alla tecnica, ma addirittura se ne servono per affermare se stesse. Il mondo mass-mediatico ne fornisce l’esemplificazione più appariscente. Senza di esso, per esempio, l’attuale cattolicesimo sarebbe in pratica prossimo all’estinzione. È scontato però che si tratta di una simbiosi in cui tutte e due le parti si mutano nel loro aggrovigliarsi reciproco. Da entrambi i lati vi sono perciò periodici soprassalti che denunciano pericoli e tradimenti. A un occhio non miope appare quindi evidente tanto che il mass-mediatico è la sola maniera in cui il cattolicesimo può sopravvivere nell’era della secolarizzazione quanto che il prezzo pagato da questo connubio sia altissimo e forse mortale. In questa prospettiva la grottesca e voluta esasperazione narrativa, in cui qualche movimento religioso ritiene di raggiungere i propri scopi clonando frammenti ematici della Sindone, induce alla riflessione non meno di quanto avvenga per il filone legato ai confini etici della ricerca bio-tecnologica.

Piero Stefani

 

66 – Ipotesi di un incompetente (15.05.05)ultima modifica: 2005-05-14T10:15:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo