17 – Padre perdona loro (21.03.04)

Il Pensiero della settimana n. 17

 

Molti dicono che la risposta più profonda che il cristiano può contrapporre al male è il perdono. Quanto caratterizzerebbe il messaggio evangelico, ancor più della mitezza di chi porge l’altra guancia, è il perdono incondizionato dato all’aggressore. Questa prassi non va attuata fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette; vale a dire sempre e comunque.

Specie nel mondo mass-mediatico l’appello al perdono sembra presentarsi come una troppo facile rassicurazione: il negativo, tanto difficile da fissare a occhi aperti,  non è davvero tale se può essere riscattato per la via miracolosa del perdono. Il cadavere della vittima pesa meno se il suo congiunto dice, spesso a microfoni e telecamere accese, di aver già perdonato l’assassino. Se poi si rifiuta di farlo, il sollievo agli spettatori viene dal fatto di poter ascrivere la mancata riconciliazione allo spirito di vendetta che alberga  nell’animo di quel parente.

Parlando  nell’ambito interumano il discorso  è  di lineare semplicità: il perdono può condurre alla riconciliazione solo nella misura in cui si incontra con il pentimento. La meta è conseguita nell’abbraccio tra i due estremi che si cercano l’un l’altro. Perdono e pentimento, se non si congiungono, restano due amanti delusi e inappagati. L’iniziativa può partire dall’uno o dall’altro; la risposta resta in ogni caso decisiva. La persona pentita mendica il perdono di chi ha offeso solo se  è consapevole che la sincerità del suo cuore non basta da sola a sanare la ferita. Il perdono può essere anche concesso per primo e senza condizioni, esso però non segna alcun riscatto pieno se non induce l’animo dell’offensore a produrre degni frutti di penitenza.

Prospettare la necessità della risposta non rende il perdono condizionato, non ne sminuisce la nobiltà: ne evidenzia solo il limite umano. Se non incontra il pentimento vuol dire che il perdono non è stato in grado di mutare l’animo dell’offensore, perciò non è stato capace di sciogliere il nodo che lo tiene avvinto alla colpa. Se lo avesse fatto avrebbe infatti suscitato in lui il pentimento. Ci si trova dunque di fronte  a uno scacco, sia pur parziale. Dio ha riconciliato il mondo a sé anche quando quest’ultimo era  nel peccato (cfr. Rm 5,6-8); tuttavia nessuna creatura, neppure quella perdonante, può mettersi al posto di Dio.

Si dice che bisogna seguire l’esempio di chi dalla croce ha perdonato i propri crocifissori. Eppure le parole pronunciate da Gesù non furono: vi perdono. Furono una preghiera al Padre di perdonare coloro che non sanno quello che fanno (cfr. Lc    23,34). Gesù non perdona in prima persona i propri persecutori, prega per loro. Ciò è imposto dal fatto che  in loro non vi è alcun pentimento. A conformarlo in  maniera piena è la ragione addotta per quella preghiera che chiede il perdono: l’ignoranza a proposito dell’azione commessa. Questa dichiarazione non va intesa un’attenuante; non si è  in sede giudiziaria. Tantomeno va ritenuta una smentita di ipotetiche accuse di deicidio (ignote al Nuovo Testamento). Il suo significato è semplicemente quello di essere davanti  a una mancanza di pentimento: fino a quando l’assassino non sa quello che fa non potrà mai pentirsene. Per definizione ci si rende conto del male non quando lo si sta compiendo, ma solo dopo se e quando ci si pente di esso. La misericordia di Dio è più grande di ogni colpa e di ogni mancanza di pentimento. Per questo le porte della preghiera restano sempre aperte. Tuttavia la creatura non è Dio; l’essere umano resta tale sempre anche quando perdona.

Piero Stefani

 

 

 

17 – Padre perdona loro (21.03.04)ultima modifica: 2004-03-20T12:50:00+01:00da piero-stefani
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