16 – Rispondere al male (14.03.04)

Il pensiero della settimana n. 16

 

Nell’Occidente è in corso da tempo un lungo contenzioso: il pensiero filosofico-teologico tende a interpretare il male come deficienza, ombra destinata spesso a mettere meglio in luce i contorni dei corpi; il vissuto religioso lo coglie invece come una forza devastante, un nemico terribile da ridurre all’impotenza. Poiché grande è il male, immensa deve essere la forza capace  di annientarlo. La lotta si attua in scenari non solo umani.  Sull’uno e sull’altro fronte scendono in campo forze trascendenti. La battaglia sarà durissima, ma alla fine vincerà il bene.

L’Apocalisse è percepita così. Letto con chiavi più accurate, il libro che chiude la Bibbia cristiana può assumere anche altri significati, ma la linea qui esposta è certo quella che si è maggiormente impressa nelle menti e nei cuori. Tale significato è percepibile anche quando, di fronte a un male che irrompe in modo improvviso, inatteso e distruttivo, si evoca l’aggettivo apocalittico. Il terrorismo, quando assume proporzioni catastrofiche,  ne è l’esempio più immediato. In questo  caso pensare al male come mancanza o  imperfezione porta a poco: esso è distruzione.

L’apocalisse terroristica è però interna alla storia. La risposta al male non può appellarsi allo scontro tra dragoni satanici e schiere angeliche capitanate da Michele. L’opzione storica diviene allora la scelta di replicare alla distruzione con le stesse armi. In tal caso la risposta è  per definizione sproporzionata:  essa deve essere più  potente. Le forze del bene hanno l’obbligo di dimostrarsi più annientanti di quelle del male. Qui però insorge il monito filosofico-teologico che denuncia l’insanabile strabismo di questo procedere. Il male, per essere annientato, deve essere personificato (si pensi al demonio). Tuttavia se è, vale a dire se è identificato con qualcosa o qualcuno, quella realtà non può coincidere davvero con il male. Da qui l’insanabile contraddizione  interna alla via che in questi anni sembra aver lusingato gli americani.

Un’altra alternativa è quella del controllo. Le forze del male non sono onnipotenti perché sono minoritarie e perciò, in definitiva, perdenti. Satana e le sue schiere appartengono a questo novero fin da prima che il mondo fosse. Perciò le si può controllare giorno dopo giorno. La vigilanza  è termine  spirituale ordinario che tenta di contrastare preventivamente l’abbarbicarsi  e il dilagare del male nei cuori. Lo fa con pratiche di controllo  che scrutano  gli animi e che allontano da essi gli strumenti del male. Resa pratica pubblica contro il nemico terrorista questo guardare nei segreti per disinnescare preventivamente le potenziali armi del male dà luogo alle estenuanti procedure dei controlli. Come avveniva nell’ascesi, è prassi defaticante a volte efficace, più spesso sterile e inaridente, non di rado controproducente  di fronte a un male che sfugge a ogni controllo. È una via imboccata da molti. Entro questo schema può  esser ricondotta persino l’erezione del muro tra Israele e i territori palestinesi

Vi è infine la risposta mite. Nella vita spirituale è quella che invita a non voler resistere al malvagio. Nel contesto sociale essa si manifesta nel riproporre una quotidianità entro la quale ci si comporta come se tutto fosse normale. Così facendo non si nega il male,  ma se ne delimita la potenza. Esso può colpire, ma non sempre e non ovunque. Per dimostrarlo riprendiamo subito la vita di prima. Questa scelta ha senso solo se è consapevole del rischio. Tra essa e l’incoscienza vi è la stessa differenza che passa tra il coraggio  e la temerarietà: all’apparenza i comportamenti possono sembrare anche simili, nel profondo sono abissalmente diversi.

Questa pensosa normalità deve essere pubblicamente percepibile. Un modo per farlo è di passare attraverso il rito delle manifestazioni: enormi aggregazioni di persone,  impossibili da controllare una per una e quindi diventate potenziali obiettivi di violenza  (una bomba potrebbe scoppiare anche lì, e provocare un gran numero di vittime). Si tratta di una risposta tanto più efficace quanto più è in grado di contrapporre alla violenza  una condizione inerme, ma non doma. Il no alla violenza diviene allora la nonviolenza.

I tre modelli sono compresenti.  Tra essi si impone una scelta sia in campo spirituale sia in quello pubblico.  Affermare però che uno solo di essi è quello giusto ed efficace significa credere illusoriamente di poter compiere nel tempo storico quanto la fede cristiana consegna alla dimensione trascendente dell’escatologia.

Piero Stefani

 

 

 

16 – Rispondere al male (14.03.04)ultima modifica: 2004-03-13T12:55:00+01:00da piero-stefani
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