14 – Senza più desiderio di futuro (29.02.04)

Il pensiero della settimana n.14

 

Sul numero di Regno-attualità 4,2004 Barbara Spinelli afferma che «in apparenza siamo tutti immersi nella memoria, in questi tempi che vanno dalla fine del secolo scorso all’inizio del nuovo. Sembra esser divenuto lo shibboleth della nostra epoca: la parola d’ordine attraverso la quale ci presentiamo nelle case ignote come in quelle note, e grazie al quale siamo ammessi nella comunità civile». Nella prossima puntata riprenderò il tema di quale rapporto  c’è tra la retorica della memoria e la crisi della progettazione del futuro. Questa settimana lascio invece la parola a mio fratello Marco, il quale, partendo da considerazioni legate all’Università, giunge proprio a parlare di una generazione a cui è stato rubato il senso del futuro.

P. S.

 

Senza più desiderio di futuro

 

A Bra, fra colline delle Langhe e capolavori barocchi, si trova Via della Mendicità Istruita, involontario epigramma sul probabile incombente futuro dell’università italiana. Ultimamente, si è un po’ parlato dell’università, a causa del disegno di legge delega sul riordino della docenza. Per i non iniziati, illustrerò brevemente l’attuale itinerario universitario. Alla laurea segue il dottorato di ricerca, di 3-4 anni, oggi spesso interamente a carico dello studente; poi 4 anni di borsa di studio postdoc, quindi, dopo ulteriori anni di attesa, i più fortunati riescono a vincere un posto da ricercatore, con stipendio intorno ai 1000 €, dopo tre anni, se si passa la conferma, si è immessi in ruolo, attualmente all’età media di 42 anni. Si sono così spesi, spesso senza redditi ed in uno stato di grande incertezza, gli anni più scientificamente produttivi e consacrati dalla natura  alla maternità-paternità. Il Legislatore, nel 1980, prevedeva che i compiti dei ricercatori dovessero essere appunto di ricerca, ma oggi la maggior parte di loro svolge una rilevante attività didattica. Alcuni ricercatori, dopo parecchi anni, riescono a superare i concorsi per i ruoli superiori, di professore associato e poi di ordinario. Negli ultimi anni, a causa del blocco delle assunzioni, anche i vincitori dei concorsi non hanno potuto però, in genere, prendere servizio, formando un “tappo” di alcune migliaia di persone, posti dantescamente “fra color che son sospesi”. I debiti, anche di molti milioni di Euro, accumulati da molti atenei rendono spesso illusorio pensare ad ulteriori chiamate, mentre i fondi di ricerca stanno scomparendo. Dato che i finanziamenti statali sono in parte proporzionali al numero degli iscritti, che contribuiscono anche con le loro tasse, si è scatenata la caccia allo studente, attraverso la pubblicità, la moltiplicazione artificiosa dei corsi di laurea, e, dato che non si poteva migliorare il livello dell’insegnamento, rendendo sempre più facili le promozioni agli esami. Oggi i professori di ruolo coprono in media meno di un quinto dei corsi, affidati per lo più a ricercatori ed a contratti esterni, pagati anche 50 € lorde all’anno, in genere affidati a neolaureati, professionisti, o pensionati. La maggioranza del personale di ruolo è entrata fra gli anni ‘70 ed  ‘80, quasi il 70% degli ordinari ha oltre 55 anni e molti oltre 70, per cui nei prossimi anni si avrà un forte esodo di docenti. La proposta governativa fotografa questa realtà peggiorandola, sostituendo i ricercatori con Co.Co.Co., con contratti a tempo, per un massimo di dieci anni, seguiti da altri eventuali 6 anni di precariato come docenti, per essere forse infine assunti, ma non prima dei 45 anni. Ai professori sarebbe chiesto in cambio solo 120 ore di docenza annua e cadrebbe ogni incompatibilità con lavori esterni, non a caso la proposta gode il favore delle università private e di molti professionisti con attività extra-universitarie. A supporto di questa proposta, non si può invocare neanche la mancanza di fondi, dato che contemporaneamente si stanzia un miliardo (!) di Euro per l’Istituto Italiano di Tecnologia (si noti, non di scienza), aprituro nel manicomio dominante il “fatal Scoglio di Quarto” e dai ministri “americanamente” chiamato “ai ai ti” (o è lamento di prefica sull’itala sorte dell’università?). Ma non si tratta solo di problemi economico-organizzativi, fra studenti e docenti sta spesso scemando ogni interesse e serpeggiando un’aura depressiva. Gli studenti vivono frequentemente questi anni come un indefinito grigio prolungamento dell’adolescenza e non come il serio lavoro di preparazione alla vita futura (ovviamente esistono giovani motivati e preparati, ma quali prospettive prepariamo loro?). Ma infondo è tutta la società che, dopo l’evaporare di religione, ideologia, fede politica, senza più stimoli e strumenti interpretativi, ha perso la voglia di domani. Ci si sposa alla soglia della canizie, si ha la più bassa natalità del mondo, si vive senza desideri, si trova naturale vedere la cosa pubblica stravolta al contingente interesse privato, l’azionista vuole redditi a 6 mesi, logico che non si investa nel futuro, che non ci si preoccupi se non si formano più studiosi e scienziati (salvo “scancherare” contro l’ignoranza dello specializzando del Pronto Soccorso). La mancanza del desiderio di futuro è forse la maggior differenza fra noi e potenze emergenti, come la Cina, o società competitive (fin troppo), come gli USA. La nostra vita è effimera, ma il sogno di futuro è il lievito essenziale di ogni società e di ogni economia. Se ci riapproprieremo della capacità di sperare e progettare, troveremo naturale risolvere i problemi dell’insegnamento e della ricerca ed i soldi si troveranno senza problemi. Ma fin da oggi, chi ha il grande privilegio di potere lavorare in questi due campi, riscopra quanto meraviglioso sia il proprio compito, seminatore di germogli di futuro.

 

                                                                                                                                                             Marco Stefani

 

 

14 – Senza più desiderio di futuro (29.02.04)ultima modifica: 2004-02-28T13:05:00+01:00da piero-stefani
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