11 – Le molte religioni di Dio (08.02.04)

Il pensiero della settimana n.11

 

Il pluralismo religioso è tema tra i più decisivi dei nostri giorni. La riflessione  teologica occidentale, per ragioni storiche di lunga durata, si trova in difficoltà di fronte a una matassa che non può essere sbrogliata né sostenendo che c’è un’unica religione vera, la propria, mentre tutte le altre sono false, né dichiarando che l’una vale l’altra in quanto il fatto di trovarsi da una parte o da quell’altra dipende solo da ragioni storico-culturali. Si sarebbe tentati di descrivere questa situazione alludendo alle parole pronunciate da Paolo nel suo discorso all’Areopago ateniese: gli esseri umani cercano Dio quasi a tastoni, se mai riescano a trovarlo, benché Egli non sia lontano da ciascuno di noi (cfr. At 17,27).

Per esprimersi in modo aforistico, si potrebbe sostenere che oggi è divenuta evidente pure a parte hominis una massima che a parte Dei è sempre stata vera:  chi crede in Dio non può avere a cuore una sola religione. Questa affermazione non equivale affatto a dire che bisogna porre tutte le manifestazioni religiose su un piano paritario. Espressione banale che tradisce l’anima stessa delle rispettive fedi. La convinzione profonda che fa abbracciare una via su cui  si gioca la propria esistenza non è compatibile con un relativismo che rende del tutto fortuita o occasionale l’adesione a questo o a quel credo. Tuttavia la fiducia stessa che si ripone in Dio obbliga, se il cuore non è angusto, a essere certi che per cammini diversi altri vivano con intensità e fede non minori il loro incontro con Dio. Il respiro universale delle religioni sta nel fatto che le une non si possono ridurre alle altre. Ognuna di esse sa di non essere la sola, ma ciascuna ha fiducia di poter guidare i propri seguaci a conformarsi pienamente al volere di Dio. Convincimento che, lungi dall’indebolirsi,  addirittura si rafforza quando si abbandona l’esclusivistica pretesa che soltanto la propria strada possa condurre tutti a Dio.

Quel che conta è la certezza profonda del credente di star abbracciando l’unica fede capace di farlo camminare sulla via di Dio. Uscire da essa significherebbe smarrirsi. In questo senso  la frase evangelica «la tua fede ti ha salvato», rivolta da Gesù a coloro che egli aveva risanato, ha un’estensione generale. Ognuno è chiamato a vivere in modo assoluto il cammino su cui si trova. Il grande mistico musulmano Al-Hallaj ha scritto: «Ho riflettuto sulle religioni, cercando di comprenderle; / ho trovato che sono rami diversi di un solo tronco. / Non chiedere a nessuno di abbracciare una certa religione, / lo allontaneresti così dal suo Principio». Ad un orecchio moderno questa posizione rischia di suonare relativistica: un ramo vale l’alto. Le cose non stanno così: abbandonare il proprio ramo significa inaridire l’unico canale che ci permette di collegarci alla linfa del tronco. I rami non sono intercambiabili. Soltanto quando si vive con intensità non negoziabile la propria fede si giunge al convincimento che Dio sia più grande delle religioni. La conversione, vale a dire il passaggio da un ramo all’altro, può aver sensatamente luogo solo quando si vive in modo inaridito o sterile il proprio legame con il tronco.

I versi di Al-Hallaj si oppongono a una programmatica azione proselitistica, essi però non  negano la figura del proselito. Nessuno dovrebbe forzare dall’esterno il passaggio da un ramo all’altro; ma non si dovrebbe neppure impedire alle foglie fresche spuntate sui vari  rami di testimoniare a quelle rinsecchite presenti altrove che forse potrebbero rinverdirsi se accedessero per altra via alla linfa del tronco.

Piero Stefani

11 – Le molte religioni di Dio (08.02.04)ultima modifica: 2004-02-07T13:20:00+01:00da piero-stefani
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