12 – Religioni e laicità (15.02.04)

Il pensiero della settimana n.12

 

Recenti fatti come l’approvazione in Francia della legge che vieta nelle scuole l’ostensione del velo islamico (o, più modestamente, l’inizio il prossimo venerdì 20 febbraio del III ciclo del «Forum delle religioni a Ferrara», biblioteca Ariostea ore 17,30) invitano a riprendere il discorso sul tema della presenza pubblica delle religioni entro uno stato laico. Su questi temi, per più ragioni, è meglio non limitarsi a oltrepassare le Alpi; conviene attraversare anche la Manica.

L’attuale arcivescovo di Canterbury  Rowan Williams, a proposito della presenza di molte religioni all’interno di una società pluralista, ha affermato che «non esiste alcun punto di osservazione al di sopra di tutte le tradizioni e teologie dal quale qualcuno super partes possa decidere; non c’è alcuna commissione esaminatrice. Ma questo  significa pure che non esiste alcuna prospettiva dalla quale qualcuno possa dire: “Sono tutti modi diversi di guardare la stessa cosa”. Se sono una persona di fede la cui esistenza è vissuta in una relazione globale con quanto ritengo essere la sorgente  e il contesto di tutta la mia vita, non posso appellarmi, per fornirmi delle credenziali, a qualcuno che sta al di fuori nel neutrale mondo pubblico»  (Il Regno-attualità 16,2003, p. 567).

Le considerazioni del primate anglicano indicano, sia pur in modo indiretto, che, all’interno di società democratiche e pluraliste, la richiesta di ottenere spazi confessionali pubblicamente tutelati costituisce, in realtà, il rovescio della stessa medaglia che impone, sul dritto, la non manifestazione della propria appartenenza religiosa in sede pubblica. Nell’uno e nell’altro caso quanto è escluso è l’esistenza di un  confronto paritario tra le pretese delle religioni. Questa componente paritetica non è nelle corde interne delle singole confessioni religiose le quali sono obbligate a giudicare le altre in base a visioni proprie; essa però è richiesta dall’esistenza di uno spazio laico democratico che sia tale da concedere ai cittadini l’esercizio di diritti collettivi e non solo individuali. Con grande pertinenza Williams aggiunge: «una società non teocratica consente l’autentica contesa sulla verità religiosa per il solo fatto di dare spazio a diverse esperienze e costruzioni dell’universo sia per un impegno reciproco, sia per essere sé stessi» (ivi). Soltanto all’interno di democrazie laiche le religioni possono, anche in sede civile, tanto non abdicare alle proprie pretese di assolutezza, quanto far sì che questa contesa avvenga su un piano di uguaglianza.

Il confronto paritario delle confessioni religiose può aver luogo  in modo fecondo nel «neutrale mondo pubblico» solo se quest’ultimo rispetta due condizioni simmetriche: da un lato deve concedere ai membri delle comunità religiose di giocare un ruolo civile qualora essi rispettino il principio della laicità e dell’uguaglianza dei diritti,  dall’altro non deve dare credenziali particolari a qualche tradizione religiosa a scapito di altre. Vale a dire, è richiesto da una parte che l’interesse per le religioni divenga un fatto civile e dall’altra che le comunità religiose accettino le regole delle società democratiche. Questo accoglimento deve avvenire tanto in relazione alla libertà di coscienza dei propri membri, quanto alla volontà di muoversi sul piano di parità con le altre confessioni religiose senza per questo rinunciare a manifestare le pretese di assolutezza connesse alle rispettive visioni del mondo. Ciò significa che tra le comunità religiose è necessario che sussista un reale confronto regolato dal rispetto reciproco, senza che esso sia posto sotto l’ombrello protettivo di una pacifica omogeneità. In altre parole, anche le comunità religiose devono in proprio accettare nell’ambito civile le regole della democrazia.

Dar spazio alle tradizioni religiose in sede pubblica e in particolar modo all’interno  della istituzione scolastica significa impegnarsi a promuovere un’educazione alla democrazia rivolta  non solo in direzione dei cittadini e degli studenti, ma anche in quella delle stesse comunità religiose. Difficile pensare che ciò possa avvenire se ci si continua riferire a uno spazio pubblico a cui alle religioni  non è concesso di aver voce in capitolo anche in relazione al bene comune. Il grande Locke  pensava di poter risolvere il problema della convivenza tra le confessioni cristiane all’interno di uno stesso stato definendo ogni chiesa come: «una libera società di uomini che si uniscono volontariamente per adorare pubblicamente Dio nel modo che credono gradito alla divinità al fine della salvezza delle anime». Le religioni però non sono solo questo e di ciò, a distanza di quasi due secoli e mezzo, occorre ben rendersi conto. Esse non si occupano solo della salvezza delle anime e il loro spazio pubblico non si limita a quello del culto. La compresenza paritaria di comunità religiose all’interno di uno stato democratico laico è una sfida non ancora del tutto risolta proprio perché pone problemi inediti a entrambi i fronti.

Piero Stefani

 

 

12 – Religioni e laicità (15.02.04)ultima modifica: 2004-02-14T13:15:00+01:00da piero-stefani
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