Il primato dell’amore (14.12.02)

Il taccuino di Piero Stefani

  

Da tempo si muove  alle religioni monoteistiche l’accusa di essere intolleranti. Nel loro seno sarebbe nascosta una inestirpabile radice di violenza. A volte questi rilievi sono ben argomentati (è il caso del contributo di Giovanni Filoramo apparso nel recentissimo volume Biblia, La pace e la guerra nella Bibbia e nel Corano Morcelliana, Brescia 2002). Altre volte sono puri stereotipi. Si ha comunque  l’impressione che alla base degli uni e degli altri ci sia il timore suscitato dalla  pretesa di riferirsi a una dimensione assoluta. A sua volta una simile precomprensione nasce da un presupposto: il fondamento della tolleranza non può essere altro che l’accettazione reciproca della umana debolezza. La verità piena e definitiva non è alla nostra portata. Come diceva Voltaire in polemica con Pascal prendersela con la propria natura perché non ci è dato di conseguire certezze assolute equivale a  lamentarsi di non essere forniti di quattro gambe o di due ali. Siamo impastati di limiti, l’unica risposta ragionevole è accettarli; in caso contrario è inevitabile cadere nelle spire violente del fanatismo.

L’impostazione fin qui enunciata è tanto ripetuta  da sembrare del tutto persuasiva. A dare manforte ad essa è anche l’atteggiamento di alcuni «custodi della verità» i quali troppo spesso brandiscono le proprie convinzioni come un’arma e giudicano molli  e  cedevoli tutti coloro che assumono un atteggiamento più comprensivo nei confronti delle posizioni e dei dubbi altrui. Che cristiani si è se non si è neppure più sicuri della propria verità? Che discepoli di Gesù si è se  non si ha il coraggio di proclamare che la propria fede è non una delle tante opinioni che circolano nel mondo bensì l’unica verità salvifica? In realtà il relativismo e la pretesa di assolutezza  sono due posizioni  simmetriche. Non a caso esse per affermarsi hanno la strutturale necessità di scendere in polemica reciproca. Senza la denuncia di un supposto o reale fanatismo l’idea di tolleranza basata sull’accettazione delle rispettive debolezze non saprebbe come affermarsi. A parti rovesciate ciò vale per i sostenitori della centralità esclusiva della verità cristiana. Anch’essi avrebbero ben poco da dire se si vietasse loro di denunciare l’opzione moderna che ha messo i limiti umani al posto di Dio.

La componente più profonda della tradizione cristiana ha da sempre dato prova  che l’unico vero primato spetta solo alla carità. Le figure che l’hanno incarnato con la loro vita hanno dimostrato come sia possibile incontrare persone dei più diversi orientamenti e convinzioni senza abdicare alla verità.  Semplicemente a loro è parso che un modo di accogliere la verità della fede che provochi divisioni e contrapposizioni tra gli esseri umani non è autentico  proprio perché dimentico del primato della carità. Che Gesù Cristo sia un segno di contraddizione capace svelare i segreti del cuore (Lc 2,34-35) è  verità  centrale della fede; nessuno però dei suoi seguaci può prendere quel posto. Solo Dio può giudicare quella discriminazione. Tornano alla mente una persona e un titolo: P. Benedetto Calati, Il primato dell’amore (Edizioni di Camaldoli 2001). Queste parole  furono scelte da D. Benedetto nel 1987 per chiudere i suoi diciotto anni di priore generale della Congregazione Camaldolese. Prima e dopo la sua scomparsa (avvenuta nell’autunno 2000) moltissime sono le voci di credenti e non credenti che possono testimoniare quanto quel primato significasse in lui un accoglimento senza riserve di tutti, che non intaccava in nulla la fede nella verità salvifica  rivelatasi in Gesù.

La figura biblica di Abramo, il primo chiamato dal Signore  al fine di  dar inizio al lungo cammino della fede, è esempio chiarissimo di cosa significa credere autenticamente nel Dio unico. Egli  ha appena ricevuto la promessa, Dio ha appena stretto con lui un’alleanza specialissima (Gen 17) e  subito si affretta a ricevere nella sua tenda dei viandanti che non sospettava minimamente fossero angeli (Gen 18, 1-15) e  a contendere con  Dio stesso per la salvezza della corrotta città di Sodoma (Gen 18,16-33). Accolta  e vissuta nel suo significato più profondo la fede nel Dio unico non generare  intolleranza ed esclusivismo; al contrario, essa riempie il cuore dei fedeli dell’assillo di prendersi cura degli altri.

Il primato dell’amore (14.12.02)ultima modifica: 2002-12-28T05:59:00+01:00da piero-stefani
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