L’essere «contro» (07.12.02)

Il taccuino

 

 

All’inizio della sua celebre Lettera sulla tolleranza il grande John Locke afferma che ognuno è ortodosso ai propri occhi. Partendo da una simile base non si può quindi andare molto in avanti nel trovare un accordo reciproco. Al giorno d’oggi la frase potrebbe essere trascritta in questi termini: ognuno ai propri occhi è libero di condizionamenti. Quando si studia, parla o scrive delle cose del mondo ben si sa che sono all’opera precomprensioni, per tutti è facile cogliere quelle degli altri, molto più difficile comprendere gli stereotipi che, avvinghiatisi alla nostra  mente, formano – come direbbe Kant – una specie di seconda natura. In questo contesto si è obbligati a concludere che l’autentica garanzia della propria libertà di pensiero è costituita dalla forza polemica con cui ci si contrappone ai  supposti o reali condizionamenti altrui. Essere «contro» però non appare una garanzia sufficiente per essere liberi.

Il mondo si trova in un momento difficile da capire. Qualcuno potrebbe dire: quando mai è avvenuto il contrario? Osservazione ovvia e inconfutabile. Tuttavia ci sono frangenti in cui si è convinti di poter leggere la realtà entro schemi sufficientemente attendibili. In quei casi  l’orientamento  non è smarrito. Allora si può anche essere contro  qualche idea di segno opposto ma lo si è in quanto, prima di tutto, si è a favore della propria. L’identità culturale è alimentata non tanto dall’opposizione,  quanto dal convincimento. Dopo la conclamata «morte delle ideologie» lo schierarsi sembra invece sempre più un modo per essere liberi, anzi ancor più radicalmente per sapere chi si è. Le grandi aggregazioni sociali e politiche sono suscitate per la massima parte dall’opporsi a una scelta politica o sociale. Se  ci si chiede però cosa sia che tiene  in modo propositivo assieme quel fronte, subito diventa difficile trovare un minimo denominatore. Forse non è dato trascurabile che il più esteso movimento aggregativo oggi all’opera nell’Occidente si qualifichi proprio attraverso una negazione: No Global. In tale definizione risulta evidente la dipendenza dall’avversario. Quanto tiene assieme è l’essere contro. Tolto questo velo non ci sono prospettive comuni. Questo vale anche in altri sottoinsiemi compreso l’essere contro la guerra. Non a caso la più avveduta scelta a favore della pace ha, da sempre, colto questo limite e ha contemporaneamente patito il residuo negativo che resta nella parola «nonviolenza» anche quando la si scrive unendo i due termini.

I grandi movimenti ideologici, liberalismo, socialismo, radicalismo, comunismo, fascismo, nazionalsocialismo e via dicendo hanno sempre proposto una definizione affermativa di loro stessi. Naturalmente anche per essi la polemica, l’avversario, il nemico era spesso un elemento costitutivo (basti pensare all’espressione, ora relegata ai libri di storia, di «lotta di classe»). Essi però proponevano anche una prospettiva positiva. Oggi invece si è di fronte al paradosso di avere il bisogno impellente di un nemico proprio nel momento in cui sono venute meno le ideologie. Quel tramonto non ha portato all’abbassamento della necessità di schierarsi. Anche per questo dopo il 1989 il lessico religioso è stato sempre più impiegato per dire la politica. Il bisogno di assolutizzazioni in un’epoca postideologica ripropone la plausibilità dell’appellarsi a Dio come a una garanzia  che tutela la propria parte  e legittima la possibilità di considerare l’avversario come l’incarnazione del Male. Da questo punto di vista certe dichiarazioni del presidente Bush e i proclami degli esponenti del cosiddetto fondamentalismo islamico sono perfettamente simmetrici.

Per rispolverare quel linguaggio occorre però avere alle spalle una tradizione politica che consente di nominare Dio. Per ragioni storiche e culturali l’Italia non c’è là. Ecco perché nel nostro paese si ricorre a sostituti. Il più evidente dei quali  sta nel rivolgersi all’«Impero» che più facilmente può costituire un «assoluto in terra»: l’America. Non di rado lo spartiacque è essere pro o contro gli  Stati Uniti (o anche essere contro coloro che sono a favore o contro l’America). Tuttavia, il  modo più efficace per cautelare la propria libertà critica  sta  appunto nel cercare di sottrarsi  alla morsa di simili assolutizzazioni.

 

L’essere «contro» (07.12.02)ultima modifica: 2002-12-28T06:05:00+01:00da piero-stefani
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