448__Leopardi e papa Francesco (20.10.2013)

Il pensiero della settimana, n. 448

 

    Vi  è un pensiero di Giacomo Leopardi  che, per circostanze imprevedibili al suo autore, risulta oggi di stretta attualità ecclesiale: «È curioso a vedere che quasi tutti gli uomini che vagliono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore» (Pensiero, CX). La prima parte della frase vale per papa Francesco, la seconda concerne un numero non indifferente di esponenti curiali, cardinali e  vescovi.  

  Il momento straordinario legato all’inizio del pontificato di Francesco rappresenta un tempo opportuno per attuare un rinnovamento profondo nello stile ecclesiale. In questo frangente l’appoggio corale dei vescovi costituirebbe  il baluardo più efficace contro lo sfruttamento mass-mediatico a cui è esposto il papa, specie se lasciato solo. Una vita ecclesiale che rifiorisce nelle diocesi si pone su un piano di concretezza non strumentalizzabile. Essa indicherebbe nel quotidiano il definitivo tramonto di una gestione ecclesiale legata più al senso del potere che a quello del servizio.

   Anche in passato ci sono stati in Italia – e ancor di più in altre parti del mondo – vescovi che si sono comportati da autentici pastori, relegando in secondo piano il loro essere anche «autorirà religiose». Ma, quanto meno per il nostro paese, sono stati casi isolati. Raramente – per usare l’espressione di don Tonino Bello – la Chiesa in Italia si è messa il grembiule, il più delle volte ha continuato a indossare la talare.

   L’incapacità di parlare in uno stile nuovo da parte dei vertici della Chiesa italiana in questi mesi è divenuta tanto palese quanto imbarazzante. È facile individuarne la ragione principale: stiamo scontando le conseguenze di una politica di nomine episcopali per la massima parte unidirezionale compiuta sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ciò ha come conseguenza che il potenziale elemento di forza si è trasformato nel massimo luogo di debolezza. L’appoggio direttto e indiretto frutto di uno stile povero assunto da parte dei vescovi e di altre componenti ecclesiali ufficiali costituirebbe oggi un indispensabile fattore di riequilibrio alle travolgenti aperture del vescovo di Roma. Invece è proprio questo l’ambito in cui si constata la presenza di sorde resistenze o quanto meno di imbarazzati spaesamenti. Così, anche sul fronte ecclesiale,  per il nostro paese, gli orizzonti restano tuttora cupi.

Piero Stefani

 

Documentazione

Riporto l’articolo di Marco Zavagli apparso sul blog «il Fatto Emilia-Romagna» in data 17 ottobre 2013. Per chi fosse interessato a un mio intervento in materia rimando al blog «Sui confini» reperibile su: www.estense.com (P.S.)

 

È possibile fare ironia sullo stupro di una bambina? Brecht, alla fine dell’Arturo Ui, sosteneva che si potesse anche ironizzare su Hitler. La satira riesce a regalare un riso amaro. Un velenoso antidoto ai drammi più atroci. Ma in questi giorni a Ferrara ho assistito a qualcosa che non riesco a mitridatizzare. Parlo del vescovo Luigi Negri. Lui in questa storia c’era finito tirato per i capelli da un servizio delle “Iene”. In questa storia poteva essere una semplice comparsa. E invece si è calcato addosso i panni del protagonista.

Il copione vede un giovane uomo di 33 anni, Erik Zattoni. Davanti alle telecamere del programma di Italia Uno ha raccontato la sua storia. O meglio, quella di sua madre. Stuprata a 14 anni dal prete che ospitava lei e la sua famiglia in una casa della parrocchia. Da quella violenza nacque Erik. Lui, da adulto, ha voluto conoscere il padre e ha scritto ai vertici della curia ferrarese e al vaticano per chiedere che quell’uomo venisse ridotto allo stato laicale. A parte un riconoscimento giudiziale di paternità del tribunale (tramite vie legali), non ottenne nulla.

Trent’anni dopo, a sentenza emessa, il prete gli fece pervenire una lettera. Una lettera di perdono dove definisce “uno sbandamento” lo stupro di una quattordicenne.

Voglio ricordare che Erik scrisse anche negli anni ’80 alla Congregazione per la dottrina della fede, il cui prefetto allora era il futuro papa Ratzinger. Nessuna risposta. Del suo caso sono stati informati i vari vescovi che si sono succeduti a Ferrara negli ultimi trent’anni. Nessuno ne ha mai fatto parola.

Perché si è permesso che per 40 anni quel sacerdote rimanesse impunito e soprattutto avvicinasse attraverso le sue attività altri minori? All’inviato delle “Iene” il vescovo Negri risponde seccato: “Lei vuole insegnare alla Chiesa a fare la Chiesa?”. Ma è giusto che un prete rimanga tale anche dopo un crimine di quel genere, gli viene chiesto. “Certamente è giusto se non ci sono state ragioni per cui la Chiesa ha ritenuto che dovesse essere dimesso. Lo stupro non è sufficiente. Per il risarcimento non so a chi si deve rivolgere, non a me. Sono cose civili non ecclesiastiche. La smetta perché mi ha irritato”.

Fermate il giudizio. Credo che sia peggiore la risposta, meditata, del giorno dopo. Affidata a un comunicato stampa. L’arcivescovo si dice “coinvolto inopinatamente e aggressivamente in una vicenda accaduta più di 30 anni fa” e afferma di essersi responsabilmente e debitamente informato a seguito dell’incursione subita da “Le iene”. Quindi fa intendere che a metà ottobre di quest’anno non è conoscenza del caso. In base a questo scrupolo informativo arriva a dire che “la Chiesa di Ferrara-Comacchio non ha niente di cui accusarsi”.

Piccola parentesi. Da un documento fornito dall’associazione che segue attraverso il proprio studio legale Erik, emerge che in realtà Negri era stato già informato il 13 aprile 2013 tramite lettera della Congregazione della dottrina per la fede, a firma dell’arcivescovo Luis F. Ladaria, in cui si chiedeva di “ammonire formalmente il chierico” e a “sollecitarlo, nei limiti del possibile, ad assumersi seppur tardivamente le proprie responsabilità di padre”.

Ma lasciamo da parte l’Ottavo Comandamento e la questione sulla veridicità o meno delle affermazioni del vescovo. Concentriamoci sulle parole del suo comunicato. Dopo aver assolto la sua diocesi, Negri libera da ogni vincolo – patrimoniale – la curia: “la Chiesa, nei confronti dei sacerdoti, non si configura affatto come un datore di lavoro, che interverrebbe nelle vicende di carattere giuridico, economico e civile”.

Quanto a lui, il pastore dei fedeli ferraresi, sia chiaro che “le responsabilità di Mons. Luigi Negri nei confronti della Chiesa e della Società di Ferrara datano dal 3 marzo del 2013. Di quello che .è accaduto prima avrebbe potuto anche non farsi carico ma se ne è interessato in termini rigorosi, e tale rigore lo ha portato alle considerazioni appena espresse”.

Poi arriva in conclusione il witz, il motto di spirito, l’ironia scacciapensieri: “Visto che comunque pare che sia una questione di cronologia e di tempi, e che è accusato di essere responsabile di cose accadute oltre trent’anni fa, l’Arcivescovo ci tiene a precisare, al fine di evitare spiacevoli equivoci in futuro, che non ha avuto nessuna parte nella dichiarazione della prima guerra mondiale e neppure della seconda e certamente non si è inteso con il presidente americano per lo sgancio della bomba atomica sul Giappone. Su queste cose è meglio riferirsi ad altri”.

Ecco, io non so se sia possibile fare ironia sullo stupro di una bambina. So solo che non tutti ci riuscirebbero.

 

 

448__Leopardi e papa Francesco (20.10.2013)ultima modifica: 2013-10-20T21:41:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo