449__Le grotte di Frasassi (27.10.2013)

Il pensiero della settimana, n. 449

  

   Sabato scorso si è svolto al monastero di Montebello (PU) un incontro dedicato al ricordo di Gino e Tullia Girolomoni. Definirlo un pomeriggio intenso è debole qualifica. È stato molto di più ed è per questo che è difficile parlarne. È   sufficiente ampliarne solo uno spunto peraltro marginale.

   Dario Benetti – amico di lunga data dei Girolomoni – ha ricordato una visita   compiuta già molti anni fa alle grotte di Frasassi. Si trattava di un giorno in cui non c’erano molti visitatori. Le enormi cavità e le fantsmagoriche stalattiti e stalagmiti suscitarono un immediato stupore. Quanto durò? Non sappiamo le reazioni di tutti i presenti, ci è stata riferita solo quella di Gino che alla fine della visita disse pressapoco così: « questi straordinari spettacoli in cui non è visibile l’opera dell’uomo dopo un po’ l’annoiano». In lui invece sarebbe rimasta perenne l’ammirazione per le colline marchigiani in cui i campi coltivati si alternano ai boschi.

   In realtà le grotte di Frasassi sono un luogo fortemente antropizzato. Per rendersene conto con un’evidenza quasi oppressiva basta andarvi in un pomeriggio estivo quando il tempo piovigginoso impedisce ai bagnanti di andare in spiaggia. Allora migliaia e migliaia di turisti si riversano nell’entroterra. Giunti in loco trovano ad accoglierli un’organizzazione efficiente che sa tener fronte anche a numeri doppi rispetto al solito. Le navette fanno instancabilmente la spola tra il piazzale gremito di punti vendita e l’ingresso. Una volta giunti all’imbocco, squadre turistiche ben irregimentate cominciano la visita, spesso contraddistinta da lunghe soste sulle passerelle di cemento per quello che, in superficie, si sarebbe chiamato un senso unico alternato. Antropizzate sono le illuminazioni artificiali, non meno di altri tipi di proiezioni relative questa volta a fasci non di luce bensì di parole: là bisogna scorgere un orso, qua una tenda o persino una fetta di pancetta e così via.

  Ciononostante si ha ancora la sensazione che l’uomo c’entri ugualmente poco. Si dirà che per essere di fronte a considerazioni di questo tipo non è necerssario calarsi nelle viscere della terra, basta alzare gli occhi al cielo notturno cosparso di stelle. In realtà non è la stessa cosa; quando si osservano gli astri domina una distanza tanto incommensurabile da travalicarci da ogni parte. Di contro nelle grotte stalattiti e stalagmiti sono letteralmente a portata di mano, tanto da doverle difendere:  basterebbe  prendere in mano un piccone e ognuno di noi si ritroverebbe facilmente in grado di annientare millenni di lavorio della natura. Rispetto alle stelle, invece, siamo nelle condizioni di non poter fare proprio nulla: le vediamo ma potrebbero essere scomparse da milioni d’anni.

  La vicinanza delle costruzioni geologiche suscita vari pensieri. Le stalattiti crescono di un millimetro all’anno. Esse  sono davanti a noi lunghe venti metri, il calcolo è di una facilità disarmante. Venti volte mille anni rappresenta un lasso di tempo insignficante rispetto al cosmo, ma non  per la condizione umana. In quegli oggetti nei quali la goccia, lungi dal produrre buchi, fa invece aumentare, si vede all’opera una crescita che nulla ha a che fare con il nostro stare sulla terra. Sappiamo che ci sono cause precise che hanno fatto sì che  una stalattite sia ingobbita sulla destra, mentre una stalagmite sia incurvata sulla sinistra. Lì operano agenti necessitati e necessitanti che non perseguono alcuno scopo. Non esiste il perché. Le cose sono così  punto e basta, sia che un occhio umano le veda sia che restino per sempre celate. Le stalattiti crescono ma con ritmi imparagonabili alla nostra vita; le stalagmiti ai nostri occhi sono spettacolari in colore e forme, ma avvertiamo subito che non sono concepite, non nascono, non gioiscono, non soffrono, non muoiono, non possono essere salvate perché non possono perdersi.

   Le stelle, la luna, la luce del sole, le montagne, gli oceani, i deserti e i boschi  hanno un linguaggio che ci è dato in qualche modo di udire; le mirabolanti costruzioni geologiche da un lato ci stupiscono mentre dall’altro sono un’attestazione, immediatamente comprensibile, di tempi che non sono i nostri. Solo metaforicamente siamo uomini del sottosuolo. Per gli speleologhi probabilmente è  diverso, ma molti dei comuni visitatori non farebbero fatica a comprende l’opinione di Gino Girolomoni annoiato da quello spettacolo sotterraneo. Arduo, se non impossibile, pensare che anch’esso venga coinvolto nella redenzione. Non a caso il mondo infero è da sempre simbolo del luogo da cui occorre uscire per godere della salvezza.

Piero Stefani

449__Le grotte di Frasassi (27.10.2013)ultima modifica: 2013-10-26T10:04:00+02:00da piero-stefani
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