439__Muhammad e Filippo (30.06.2013)

Il pensiero della settimana, n. 439 

Nelle tradizioni orali relative alla vita di Muhammad vi è un episodio che, per un buon tratto, sembra ricordare la prima parte del libro di Giobbe; in seguito esso però se ne distacca. Si racconta che una volta un messo di una sua figlia venne inviato al Profeta dell’Islam per comunicargli che un suo bimbo era orami moribondo. In un primo momento Muhammad rispose indicandole la via della pazienza: «Torna da lei e dille che a Dio  spetta dare e togliere e che presso di lui ogni cosa ha un termine stabilito e ordinale la sopportazione: certo Dio la ricompenserà». Qui risuona il ritornello giobbico: «il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21). La figlia di Muhammad però non si rassegnò e rimandò indietro l’incaricato scongiurando il Profeta di venire. Egli allora si mosse e gli fu mostrato il bambino che rantolava «quasi fosse soffocato dentro un otre». A quella vista le lacrime traboccarono dagli occhi dell’Inviato di Dio. Uno dei presenti, stupito, gli domandò la ragione di quel pianto e Muhammad rispose: «Questa è la misericordia che Iddio ha posto nel cuore dei suoi servi misericordiosi. Iddio avrà misericordia solo dei misericordiosi».[1]

Il Profeta da lontano predica la rassegnazione, tuttavia quando è prossimo al nipotino moribondo dà libero corso alle lacrime. La vicinanza lo ha fatto uscire dalla sua precomprensione religiosa per farlo giungere a una fede più vera. Il pianto di Muhammad esprime un rifiuto della pazienza da lui stesso prescritta, per questo suscita sconcerto negli astanti. Tuttavia l’episodio è narrato proprio per comunicare che  quanto è scambiato per incoerente non rassegnazione è, in realtà, quanto Iddio maggiormente vuole. La misericordia è il lamento compiuto a parte Dei e non contra Deum («è la misericordia che Iddio ha posto nel cuore dei suoi servi misericordiosi»).

Dall’Arabia del VII secolo passiamo alla Roma della fine del XVI secolo. Una ricca nobildonna, Porzia Corsini degli Anguillara, si ammala gravemente. Filippo Neri la va a trovare con regolarità; tuttavia le condizioni dell’ammalata si aggravano. Entrata in agonia, le sofferenze di Porzia divennero insopportabili. A quello spettacolo Filippo restò profondamente scosso. Era già uscito dalla casa quando, repentinamente, decise di tornare indietro. Entrato nella stanza, le mette le mani sulla guancia, le alita in faccia una e due volte ed esclama ad alta voce: «ti comando anima che tu esca da questo corpo»; subito la donna rimase inanimata, finalmente nella quiete della morte.[2]

 La testimonianza è certa, deriva dal processo di canonizzazione di San Filippo Neri. Nella Roma della Controriforma, a quel che sembra, si comprendeva più di quanto non si faccia negli attuali corridoi della Pontificia Accademia per la vita.

Paolo Prodi, commentando l’episodio, afferma che l’atto di questo «taumaturgo alla rovescia» sarebbe apparso sconcertante fino a qualche tempo fa; ora però non è più così. Adesso lo «possiamo davvero capire per superare le sterili discussioni sull’eutanasia e l’accanimento terapeutico, dove da tutte le parti si parla della “vita” in astratto ma non dei viventi», [3] o, aggiungiamo, dei morenti.

Piero Stefani




[1] Detti e fatti del Profeta dell’Islam raccolti da al-Buhari, Utet, Torino 1982, p. 713,

[2] P. Prodi, Profezia vs utopia, il Mulino, Bologna  2013, pp. 199-200.

[3] Ibi., p. 200

439__Muhammad e Filippo (30.06.2013)ultima modifica: 2013-06-29T18:34:10+02:00da piero-stefani
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