438__Un conto è l’amore, un conto sono i diritti (23.06.2013)

Il pensiero della settimana, n. 438

Spesso in ambiti cristiani si sente citare la Bibbia come un riferimento qualificante in relazione all’accoglienza dello straniero. I passi biblici  in cui si comanda di amare lo straniero come se stessi perché anche gli ebrei sono stati stranieri in terra d’Egitto (cfr. Es 22,30; 23,89; Lev 19,34; Dt 10,19; 24,17), sono giustamente richiamati quando gli italiani perdono memoria delle enormi ondate emigratorie di cui sono stati protagonisti. Un recente esempio di questa espansione è un vescovo di Roma che ha detto di provenire dalla fine del mondo e nello stesso tempo porta un cognome piemontese.

È un’ovvietà affermare che la Bibbia si sofferma a lungo sul forestiero, perché si presenta innanzitutto come Scrittura d’Israele: si è sempre stranieri rispetto a qualcuno. Occorre che ci sia un «noi» che si colloca in una posizione diversa rispetto a  un «voi» o a un «loro». Per questo per la Bibbia è più facile parlare di ospitalità che di uguaglianza di diritti.

Bisogna amare lo straniero come se stessi, ma quest’ultimo non ha i nostri stessi diritti. Se non ci si incunea in questa divaricazione, il richiamo alla Scrittura serve solo a coltivare buoni – e spesso inoperanti – sentimenti. Secondo le normative bibliche, il gher (straniero residente), pur abitando presso il popolo d’Israele, non gode di tutti i diritti dell’ebreo; per esempio a lui non spetta alcuna parte del territorio. A lui toccano solo i rimasugli. Di solito si trova al servizio di qualcuno che è suo signore e protettore, ed è annoverato tra i poveri; non a caso, al pari delle categorie economicamente più deboli, gode del diritto di spigolatura (Lev 19,10; 23,22). Anche quando non si è giunti agli estremi dell’epoca di Esdra di espellere mogli e figli stranieri (Esd 9-10), resta indiscusso il fatto che il diritto biblico è estraneo allo jus soli.

 L’autodefinizione ebraica è, fino a oggi, prevalentemente genealogica (o al più prospetta l’esistenza di una aggregazione compiuta per via  religiosa), non territoriale. Nella diaspora non poteva essere che così. Tuttavia le cose stanno allo stesso modo anche nello Stato che segna il ritorno a una sovranità territoriale ebraica. Naturalmente un conto è essere ebrei e altro avere la cittadinanza israeliana. Tuttavia i confini tra i due ambiti più volte si sovrappongono come è inevitabile per uno Stato che si definisce, in modo ossimorico, a un tempo ebraico e democratico. Peraltro una legge come quella del ritorno (in base alla quale ogni ebreo ha il diritto di trasferirsi in Israele e di diventarne cittadino) dimostra che il «sangue» è più decisivo della «terra».

Attualmente nel mondo lo jus soli è applicato solo in una trentina di paesi. Nell’America del Nord e del Sud in modo automatico – basta nascere là, anche se i genitori sono solo di passaggio – in paesi europei come la Gran Bretagna, la Francia o la Germania con qualche passaggio.

Nord e Sud America sono culture storiche diverse. Si fosse protestanti biblicisti o cattolici papalini quanto contava era la situazione reale di paesi formatisi da un lato per via di emigrazione e dall’altro, almeno in molti casi, attraverso un genocidio dei suoi originari abitanti. L’opzione per lo jus soli ha alle spalle questi fattori di lungo periodo. Le ambiguità sono senz’altro forti. Per l’Europa è un’altra storia; specie a seguito del processo di decolonizzazione successivo alla Seconda guerra mondiale, si è assistito al trasferimento di una grande parte di popolazione proveniente da ex colonie su un territorio in cui gli antichi abitanti restano maggioranza. L’epoca della globalizzazione ha fatto il resto. La presenza di stranieri si è quindi ampliata anche in nazioni prive di un significativo passato coloniale. In tal modo le società europee sono  diventate, per la grande maggioranza, multietniche.

Lo jus soli è ormai l’unica via percorribile per questo tipo di società. Si deve discutere soltanto su quali siano i modi di applicarlo; la scelta di campo è infatti segnata. Quella di straniero è, in primis, una categoria giuridica così come lo è la cittadinanza. Su  questa via la Bibbia non ci è affatto di aiuto. I diritti si pongono su un piano diverso dall’amore; confondere i due piani porta con sé solo danni .

Piero Stefani

 

438__Un conto è l’amore, un conto sono i diritti (23.06.2013)ultima modifica: 2013-06-22T10:26:00+02:00da piero-stefani
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Un pensiero su “438__Un conto è l’amore, un conto sono i diritti (23.06.2013)

  1. Già, la in questo Bibbia non ci aiuta, anche perchè nella Bibbia non c`è solo l’amore di Dio per il popolo ebraico, ma anche roba come il libro di Giosuè. Il pragmatico Editto di Caracalla invece non parla d’amore o di morte, ma dà lo stesso pezzo di carta e fa pagare le stesse tasse a tutti. Se questo basti per creare o tenere insieme un popolo, è un’altra storia.

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