387 _ Per non consegnarsi all’apologetica (20.05.2012)

Il pensiero della settimana 387 

Credere e conoscere, (Einaudi, Torino 2012) è il titolo di un recente libretto che contiene un colloquio tra Carlo Maria Martini e Ignazio Marino. Esso termina con alcune affermazioni dedicate al ruolo dell’etica rispetto alla Chiesa. Sostengono congiuntamente i due autori (ma lo spirito di queste righe è evidentemente proprio del cardinal Martini): «non vorremmo che qualcuno ricavasse da questo dialogo un’impressione sbagliata. E sbagliata sarebbe l’impressione che alla Chiesa interessi sostanzialmente la questione etica, che l’etica sia l’essenza del suo messaggio, mentre la Chiesa ha come suo scopo predicare il Vangelo. Senza di esso sarebbero vani tutti i suoi sforzi per formulare prescrizioni etiche corrette. La Chiesa non ha il compito di far crescere  il senso etico nella gente, anche se esso la riguarda da vicino. Il compito della Chiesa è molto più ampio: far risplendere il Vangelo, che è perdono, misericordia e capacità di perdonare agli altri: “Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi” (Mt 5,14). Al di fuori di questa prospettive non si comprende come l’etica interessi alla Chiesa».

L’annuncio che apre il racconto evangelico è di mutare mentalità e di credere al Vangelo perché il regno di Dio si è avvicinato (Mc 1,14). Il detto, per alcuni versi, va posto nel suo contesto originario proprio al fine di credere e conoscere, mentre, per altri versi, esso è dotato di un valore permanente. Il credere al vangelo presuppone un perenne mutamento di mentalità, vale a dire una costante conversione. La misericordia, oltre che il perdono, esige, quindi, il pentimento, cioè la speranzosa ammissione del proprio peccato compiuta dai pubblicani e dalle prostitute che ci precedono nel regno dei cieli. Per una Chiesa che predica il vangelo vivendolo, la confessione delle proprie colpe è un’istanza preliminare. Lo attesta essa stessa all’inizio di ogni liturgia eucaristica. La misericordia chiesta al Cristo Signore e la confessione del proprio peccato sono necessarie per celebrare quanto è peculiare di una comunità radunata in virtù dell’ascolto dell’evangelo.

Per la Chiesa l’atto di privilegiare l’etica, con il conseguente corollario di presentarsi come ammaestrante protagonista della vita pubblica, ha come conseguenza inevitabile la necessità di porre al centro l’apologetica. La componente difensiva diviene allora primaria. La grammatica insuperabile dell’apologetica esige di presentarsi come perseguitati. Nelle origini cristiane i padri apologisti espressero appunto una simile istanza. Essa resta immutata nella forma e stravolta nella sostanza quando è fatta propria da un potente eticamente inadeguato (o apertamente corrotto) costretto a difendersi. Allora egli deve presentarsi come ingiustamente perseguitato. La vita pubblica italiana è stata a lungo caratterizzata quasi esclusivamente da questa cifra. Ora siamo probabilmente alla vigilia di una fase in cui settori importanti del mondo ecclesiale italiano (strettamente legati alla fase politica a cui si è appena accennato) saranno costretti a muoversi lungo la stessa lunghezza d’onda. Allora, invece di affermare il proprio peccato quale precondizione per credere al vangelo, si cercherà di coprire il più possibile i propri reati e, là dove ciò non sarà più possibile, si imboccherà la via delle scusanti, dei distinguo. Se la situazione si aggraverà, si passerà poi alla  ricerca di capri espiatori; affannoso diverrà dunque il tentativo di trovare altri soggetti su cui scaricare la propria colpa.

Queste considerazioni non riguardano solo il vasto arcipelago di CL; esse, infatti, toccano direttamente lo stile complessivo di una Chiesa che ritiene di poter parlare a tutti solo assumendo il linguaggio dell’etica in luogo di predicare il Vangelo. È ormai lampante che le comunità dei credenti in Cristo diverranno sempre più minoranze anche all’interno di quei paesi in cui sono state a lungo predominanti. In tale situazione puntare sull’etica come specifico della Chiesa significa, per forza di cose, consegnarsi al settarismo. Sia pure in spazi via via più angusti, sarà ancora possibile, per uno certo tempo, uno scambio di favori reciproci tra potenti; invece, dentro e fuori la Chiesa, sarà sempre più preclusa la pratica del dialogo. Nell’orizzonte della fede l’atto di rendere assoluto il relativo si chiama  idolatria.

Piero Stefani

 

387 _ Per non consegnarsi all’apologetica (20.05.2012)ultima modifica: 2012-05-19T11:17:41+02:00da piero-stefani
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2 pensieri su “387 _ Per non consegnarsi all’apologetica (20.05.2012)

  1. Caro Piero, ti ringrazio per aver espresso con tanta chiarezza e sapienza ciò che da tempo penso e cerco di spiegare con le mie povere parole. La Chiesa deve preoccuparsi di fare i cristiani e i cristiani si “strutturano” con il Vangelo…poi sapranno fare scelte eticamente corrette a seconda dei problemi e delle circostanze e delle possibilità che la vita del proprio tempo propone. Grazie ancora Piero, ma come è difficile farsi capire!
    Ti abbraccio
    Elena

  2. Sono completamente d’accordo con quanto scrivi: ritengo che ogni società umana ha il dovere di darsi un’etica e che il tempo provvidenziale che ha tolto il potere temporale alla Chiesa le toglierà anche il potere di definire l’etica, a suo grande vantaggio, che come scrivi è proprio quello della maggiore aderenza al Vangelo. Ma purtroppo la nostra società dai media alla politica ha paura ad affrontare i temi etici autonomamente tanto è abituata a farsi guidare dalla gerarchia cattolica. Mentre l’assolutizzare la propria etica porta a quei principi non negoziabili che hanno bloccato l’Italia. Ma è inutile dirlo ai diretti responsabili… perché loro hanno ragione.

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