366. Rallegriamoci assieme (Natale 2011)

Pensiero della settimana n. 366 

Le feste dipendono dai calendari i quali, a loro volta, si poggiano su moti celesti. Sole, luna e stelle ci accomunano, o almeno così sembra che sia. È sapienza antica affermare che tutti abitiamo sotto lo stesso cielo. Eppure la misura del tempo differisce da luogo a luogo, da civiltà a civiltà. C’è chi guarda al sole, chi si fa forte della ciclica luna e chi tiene conto dell’uno e dell’altra. Al calendario giuliano, che si è imposto in Occidente, e, di riflesso, nel mondo intero, sfuggono ancora molti terreni del sacro. Il papa e i gesuiti del Collegio romano hanno conquistato il nostro pianeta senza occupare tutti gli spazi di Dio. Capita perciò che le feste degli uni cadano quando altri vivono un tempo normale e viceversa.

In spazi fattisi sempre più condivisi le differenze risultano più percepibili. Non è, però, scoperta di oggi. Già in passato lo si sapeva. Un non ebreo disse a un maestro d’Israele (R. Jehoshua‘ ben Qorchah): ‘noi abbiamo le nostre feste e voi le vostre; quando voi vi rallegrate noi non lo facciamo e allorché noi siamo lieti voi non lo siete’. Domandò allora: ‘non esiste mai davvero un’occasione in cui tutti possiamo rallegrarci insieme?’. Il rabbi rispose che ciò avveniva quando cadeva la pioggia. Nelle zone aride dove scarsi sono i fiumi, la vita dipende, alla lettera, dal pianto delle nubi. Nell’emisfero settentrionale nel mese di dicembre qualcosa del genere vale anche per il lento, ma costante, crescere della luce. Quando si sa di aver toccato il fondo non si può che risalire. Il detto è sempre vero. Tuttavia soltanto nei tempi fissi della natura ci è dato di sapere quando si giunge davvero al punto infimo; in quelli mobili della società rimane, invece, incerto se, per quanto si sia già in basso, non ci siano ulteriori gradini da scendere.

Nel «settentiornal vedovo sito» da tempo immemorabile l’accensione delle luci all’inizio dell’inverno è segno augurale collegato alla lenta risalita della luce. Ebrei e cristiani, nati e sviluppatisi nell’emisfero nord, hanno, in parte, assunto l’uso di accendere lumi inserendoli nelle proprie storie. Continuano tuttora a farlo anche se l’inquinante eccesso luminoso, proprio delle nostre società, ferisce in modo grave il simbolismo affidato all’accensione delle luci.

Ognuno ha, dunque, le proprie feste e sono soltanto i tempi del cielo che ci accomunano e ci allietano concordemente? Rispondere di sì a questo interrogativo significherebbe consegnare le feste a un ambito dominato da un tollerante principio paragonabile a quello contenuto nel motto secondo cui la mia libertà finisce là dove comincia la tua. Ognuno festeggerebbe a casa propria senza pestare i piedi a nessun altro. Ad accomunarci allora sarebbe solo la crescita delle ore di luce. È utopia confidare in qualcosa di più?

 Il Natale, pur essendo, forse, l’unica festa nell’Occidente cristiano dotata tuttora di una robusta componente domestica, erompe dall’ambito familiare. Lo fa nella maniera più appariscente nel suo versante secolarizzato e commerciale. Esso riempie di luci strade e piazze e, nel contempo, allarga il vuoto che abbiamo dentro. Né, per contrastare questa tendenza, basta coltivare la pur alta motivazione, cresciuta in questi ultimi anni, che induce alcuni a condividere, in maniera cordiale, le feste degli altri. La partecipazione all’altrui festa ci accomuna più dei moti della terra o della luna, tuttavia essa sarebbe davvero piena solo se fosse all’altezza del paradosso di ospitare anche la pretesa di universalità insita nella festa dell’ «altro»: una sfida che è al di là delle nostre attuali forze. Qui non basta pensare al crescere del sole; occorre coltivare  desideri estremi, come quello di sperare in un sole che, come scrisse  Gialil ad-Din Rumi, sia in grado di proteggerci  dai suoi stessi raggi. In altre parole, non è sufficiente affidarsi ai tempi del creato.

Se il Natale fosse solo festa dei cristiani, l’incarnazione di Dio sarebbe ricondotta all’ambito angusto dell’identità confessionale. Il Verbo venuto a porre la propria tenda tra noi esige, invece, di essere accolto con un respiro aperto a tutti, senza, con ciò, imporsi a nessuno. L’omogeneo e settentrionale crescere della luce non ci basta né per vivere il Natale, né per presentarlo come simbolo universale – custodito dalla fede di alcuni e negato da quella di altri – dell’umanità di Dio. Per attingere alle profondità del Natale occorre viverlo come fonte di un divino accoglimento che ci incalza a essere umanamente accoglienti. Per quanto sia custodita solo dalla fede di alcuni occorre renderla una festa a favore di tutti

Piero Stefani

366. Rallegriamoci assieme (Natale 2011)ultima modifica: 2011-12-22T17:55:00+01:00da piero-stefani
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