357. Provvidenza (23. 10. 2011)

Il pensiero della settimana 357

 

 

 

«Mortificazione», «sacrificio», «devozione», «purezza» fino a qualche decennio fa erano tutte parole ben presenti nell’omiletica e nella catechesi comuni. Ora le si ode solo in qualche enclave tradizionalista. Espressioni come «peccato mortale» o «esame di coscienza» le si ascolta ancora, ma per lo più solo in modo traslato. È più facile sentirle usare nei dibattiti politici o nei consigli di amministrazione che nelle chiese. Tra i riferimenti un tempo considerati fondativi e ora caduti in uno stato di latenza c’è anche il termine «Provvidenza». Una volta quella parola era come un fiume in piena che riempiva l’omiletica e la spiritualità; oggi invece è distribuita con il contagocce.

 Nella seconda metà dell’Ottocento, quando signoreggiava, nella Chiesa cattolica, rispetto alla visione della Provvidenza prevalsero due anime. La prima, resa esplicita anche nei testi del magistero, era di farla derivare dallo stesso atto creativo. Quando si parlava di creazione, era obbligo riferirsi pure al governo divino del mondo. Affrontando quest’ultimo argomento ci si appellava alla Provvidenza con la quale Dio faceva sussistere quanto da lui chiamato all’essere. In quest’ottica, Dio si configura come un padrone (in quanto crea le cose), dai tratti amorosi e misericordiosi (in quanto tutto e tutti sostiene). Nel suo essere padrone onnipotente, è pensato come “maschio”, dal canto suo l’attributo “amoroso” ci rimanda piuttosto al volto “femminile” di Dio. In maniera molto significativa don Calabria, grande cultore della Provvidenza nella prima metà del Novecento (i ferraresi posso pensare alla “Città del ragazzo”), parla spesso di Provvidenza concependola come una figura materna impersonificata. Il Signore però è anche un “padrone” che crea e governa il tutto secondo il suo beneplacito.

Il Concilio Vaticano I, parlando di creazione, cita un passo del libro della Sapienza (8,1) (notissimo all’epoca, in quanto inserito nella liturgia della Novena di Natale). In esso, in riferimento alla Sapienza (in un’accezione che poi sarà associata alla Provvidenza), si afferma che Dio governa tutto da un capo all’altro della terra, «fortiter et suaviter» (con forza e soavità) (cfr. il par. «De Deo omnium creator» della Costituzione dogmatica Dei Filius). Da una parte vi è la forza (è il padrone che controlla tutto), dall’altra, la soavità “materna”. Il Dio creatore e provvidente si occupa, però, di tutte le cose in maniera tanto globale da far sì che, su questa base, sia impossibile ipotizzare un’assistenza specifica rispetto a un caso particolare. Oggi, sul piano teologico, questi temi sono affidati a discorsi che cercano, per lo più in modo insoddisfacente, di celebrare le nozze tra creazione ed evoluzione; quest’ultimo termine, dunque,  ha preso il  posto  un tempo occupato dalla Provvidenza generale.  In questa sua ridefinizione è, forse, ancora possibile trovare posto per il fortiter; assai più arduo,  invece,  rinvenire una collocazione adeguata per il suaviter.

La seconda connotazione ottocentesca di Provvidenza, per quanto appaia meno di frequente nei testi ufficiali, fu ugualmente molto diffusa. Tale visione parte dalla constatazione che il cattolicesimo, nel sec. XIX, stava attraversando una stagione di grandi difficoltà. Da un lato si doveva contrastare il processo di secolarizzazione della società iniziatosi con la Rivoluzione francese e lo sviluppo industriale; dall’altro, in Italia, era aperta la «Questione romana» frutto del difficile rapporto tra la Chiesa cattolica e le vicende risorgimentali. In questo contesto, quando il gregge si sentiva smarrito e abbandonato, si fece strada la convinzione che l’ultima parola, nonostante i molti avversari, spettasse comunque alla Provvidenza. L’espressione più significativa, collegata a questa concezione, è il motto latino non prevalebunt (« non prevarranno», originariamente riferito alle porte degli Inferi, Mt 16,18). Frase, tra l’altro, scritta, a tutt’oggi, sotto la testata dell’Osservatore Romano. In sintesi, la convinzione si può riassumere in questi termini: anche se ci sembra che il mondo vada in direzione diversa rispetto a quanto si poteva auspicare dopo diciannove secoli di cristianesimo, in realtà si tratta solo di un momento di prova, infatti le forze avverse non prevarranno.Tutto resta saldamente nelle mani di Dio.

All’inizio del XXI secolo neppure i papi propensi a formulare giudizi preoccupati sulla storia contemporanea  parlano più questo linguaggio. Essi ripetono che il mondo va a rotoli perché ha perso Dio, ma tacciono sull’altro e ancor più fondativo lato del problema: Dio ha forse perso il mondo? Appellarsi alla Provvidenza era un modo per dare una risposta a questa domanda: «no, tutto è ancora nelle mani di Dio». L’inconsistenza di questa linea stava, per la massima parte, nel fatto che la punizione dei malvagi era parte costitutiva dell’immagine “maschile” di Dio che guidava la storia. Secondo questa lunghezza d’onda la caduta del malvagio sarebbe dunque  segno inequivocabile della presenza dell’intervento divino nella storia. Ma c’è  forse qualcuno oggi che, in retta coscienza, possa leggere in tal modo la morte di Gheddafi? Al più ci è consentito confidare in un incruento effetto boomerang del commento, «sic transit gloria mundi», pronunciato, al riguardo, dal nostro presidente del consiglio.

Bisognerebbe davvero chiedersi se l’attuale estromissione del termine «Provvidenza», non dipenda, in buona parte, dalla sua declinazione “maschile” compiuta da chi non accettava la propria perdita di potere storico. Un risentimento proiettato nel cielo ha così travolto l’irrinunciabile fiducia nel volto “materno”di Dio che dovrebbe essere propria di ogni credente. Confidare in Dio non è un’assicurazione per il futuro, è una prova di cui occorre essere all’altezza giorno dopo giorno. Non la si può superare una volta per tutte. Per questo la preghiera che Gesù ci ha insegnato chiede al Padre: «dacci oggi il nostro pane quotidiano». Pensare a Dio come provvidente in quanto attua i disegni da lui progettati (è la versione “maschile” di Dio) è ben diverso dal rivolgere lo sguardo al Signore che si prende “maternamente” cura, ogni giorno, delle proprie creature. Il Dio provvidente non è il Dio programmatore che, da buon ingegnere, deve realizzare i propri progetti; se fosse così, Egli, in fin dei conti, strumentalizzerebbe le sue creature per affermare se stesso. Anche la punizione allora sarebbe un modo per esprimere il potere divino. Un Dio “materno” è, invece, colui che cerca di risanare le ferite dei suoi figli.

 

Piero Stefani

357. Provvidenza (23. 10. 2011)ultima modifica: 2011-10-22T06:00:00+02:00da piero-stefani
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