A fine percorso: dalla “rete” alle piazze

Pensiero della settimana n. 341

 Quando, verso la fine del  XIX secolo, la propaganda e i giornali di ispirazione socialista e la grande stampa liberale cominciavano a diventare preoccupanti, i cattolici intransigenti si impegnarono a pieno ritmo nel campo delle pubblicazioni periodiche. Nacquero così le varie «difese o voci del popolo», «osservatori cattolici» e via discorrendo. Giornali e settimanali diocesani per lungo tempo sono stati chiamati a guidare l’opinione pubblica cattolica, sostenuti da ben vigilati canali di propaganda. Su altri fronti, per l’Avanti! e in seguito per l’Unità le procedure erano le stesse. La grande stampa cosiddetta libera faceva opinione, ma in modo piuttosto selettivo per la classe borghese.

 I quotidiani avevano una circolazione limitata e quindi controllabile anche nei paesi in cui vigevano regimi liberal-democratici. La libertà di stampa era considerata un  valore alto, a volte funzionò davvero in modo efficace. Tuttavia, i suoi protagonisti, in definitiva, erano  soltanto i giornalisti.  I cittadini potevano far sentire la loro voce solo attraverso « le lettere al direttore», genere, per definizione, filtrato e minore.

Questo mondo non è del tutto scomparso, ma per molti versi per descriverlo è bene usare verbi al passato. A ridimensionarlo in maniera drastica è stata, come ognun sa, la televisione. Venne così il tempo in cui l’opinione pubblica si costruiva e controllava molto più coi telegiornali che con i giornali. Nella sua epoca d’oro il TG delle 20 annoverò 14 milioni di ascoltatori. La differenza fondamentale rispetto al giornale, è che la TV viene a te e non viceversa. Sei libero di non accendere o di spegnere, ma non c’è nulla che equivalga a leggere un articolo e saltarne un altro. La gerarchia della titolazione e delle impaginazione è presente anche in quotidiano, ma lo è in maniera meno imperiosa. Nessuno legge per intero un giornale, mentre in genere si ascolta (o si ascoltava) per intero un telegiornale, e lo si fa secondo ritmi totalmente imposti da altri. Per molti anni, con pochi canali, TV pubblica e fasce d’ascolto limitate nell’orario, il controllo fu efficace.

Poi esplose il fenomeno della televisione commerciale, seguita da quella satellitare, dalla pay TV, dal digitale. Si è così entrati nell’epoca della televisione globale. Le tradizionali procedure di controllo, a poco a poco, saltarono. La cifra dominante divenne la saturazione e lo spettacolo. Tutto si deve ormai conformare a questi ritmi. In primis la politica. Un leader che non appare in TV non è tale. Gli stessi giornalisti della carta stampata valgono soprattutto quando appaiono in televisione o quando i loro articoli sono letti in quella sede. Forme della comunicazione profondamente mutate si collegarono a un altro tipo di far politica. In Italia il fenomeno ha contraddistinto in maniera inusitata un lungo periodo della vita pubblica.

L’uso dei verbi al passato qui non può estendersi più di tanto. Nel nostro paese tutto ciò è ancora molto reale. Far sentire la propria voce in questo tipo di mondo mass-mediatico rimane precluso. Il controllo si svolge in modo molto più articolato, ma esso è effettivo. I suoi esiti sono ancora squadernati di fronte a noi in termini di spettacolarizzazione sia della politica sia della vita quotidiana. La televisione c’è quasi in ogni casa, certo è presente in tutte quelle della fascia popolare. In un paese in cui le persone anziane costituiscono una fascia crescente della popolazione, la televisione  resta il canale di gran lunga privilegiato del rapporto con il mondo, o meglio, con le immagini del mondo che essa fa giungere.

Gli anziani hanno tutti il telefonino (semplice), ma non molti tra loro navigano ancora su internet. La rete è usata da moltissime persone, ma sono i giovani a essere cresciuti con essa e ad averla succhiata quasi con il latte materno. Per loro è la principale forma di comunicazione, privata e pubblica a un tempo. La sua caratteristica è l’anarchia, nel senso proprio del termine. Nel web non c’è un principio guida. Nessuno impagina, nessuno titola, nessuno dà voce a questo o a quel leader. Tutti sanno però che lì bisogna esserci, altrimenti si è tagliati fuori. A sconcertare i potenti è la difficoltà di governare la rete. L’unico modo per farlo è quello brutale di oscurarla. Operazione difficile da effettuare persino quando si tratta di reati.

L’universale, anarchica accessibilità a tutto ha ovvie ricadute devastanti. Si possono bloccare siti, ma su you tube c’è di tutto, accessibile a tutti. Anche senza cercarli esplicitamente, a volte guidati dal puro caso o dalla suggestione dei vari link ci si imbatte in veri e proprio spettacoli osceni, nel senso lato o proprio del termine. Ciò vale qualunque sia l’età dell’utente. Nel web si naviga senza alcuna stella polare e per questa semplice ragione molti  processi educativi rischiano di andare a rotoli.

 I siti possono essere, sia pure a fatica, controllati, su di essi si possono compiere delle vere e proprie speculazioni finanziarie; eppure la rete consente anche forme di comunicazione inedite. Essa è un luogo in cui si può creare un’opinione pubblica fuori da controlli preventivi. Lì vi è anche uno spazio sottratto alla censura (pro domo mea: anche il “pensiero della settimana” nacque, a suo tempo, per rispondere a una forma di censura clericale esercitata dal settimanale diocesano). L’anarchia inquieta i potenti, ma coagula i giovani. Nel sessantotto ci volevano i leader, tuttora nella politica ufficiale (largamente coincidente con la politica spettacolo) ci vogliono leader;  nel mondo del web non ne occorrono più. I giovani scendono in piazza senza capi, in virtù di una rete comunicativa intollerante di ogni  gerarchia.

In Tunisia e in Egitto le piazze convocate dal web hanno contribuito in modo determinante a far cadere potenti abbarbicati da decenni al potere. In Siria la rete alimenta da settimane un coraggio civile  che assume i tratti di una «sete del martirio» che nulla ha da spartire con il jihad. Mezzi di comunicazione nati in Occidente contribuiscono a far cadere regimi del Vicino Oriente. Si è però innescato un processo di imitazione. Gli arabi hanno passato di nuovo, virtualmente, lo stretto di Gibilterra. Le piazze della Spagna si riempiono di giovani che sfidano divieti.  Non è assurdo ipotizzare che l’onda potrà varcare i Pirenei senza trovare nessun Carlo Martello capace di arrestarla. Se giungerà in Italia avrà un effetto più dirompente delle elezioni amministrative di Milano. Tuttavia la demografia di un paese con molti anziani che guardano la TV può ancora limitare le ricadute politiche del fenomeno. Anche perché per governare occorrono pur sempre dei leader. Perché la svolta avvenga occorre trovarne uno che non abbia respirato a pieni polmoni l’aria della politica spettacolo.

Piero Stefani

A fine percorso: dalla “rete” alle piazzeultima modifica: 2011-05-21T11:16:00+02:00da piero-stefani
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