340. Il moderatismo aggressivo

Il pensiero della settimana, n. 340

 Poco più di cinquant’anni fa, presso le suore di Santa Dorotea a Roma, si riunì un gruppo di alti esponenti democristiani. Nacque così il centro del centro, con tutte le caratteristiche di moderatismo che quella collocazione comportava. A partire dalla loro data di nascita nel 1959, i dorotei non espressero solo la corrente maggioritaria della DC ma incarnarono anche uno stile di far politica consono a un sistema rigidamente legato al rifiuto della logica dell’alternanza. In loro vi era la quintessenza di quanto, all’epoca della Rivoluzione francese, fu denominata la palude, termine coniato in relazione alle, allora neonate, qualificazioni di destra e sinistra.

Essere nella palude non significa evitare i litigi. Sotto la superficie stagnante le lotte erano feroci, lo specchio d’acqua doveva però dare l’impressione di calma. Ciò comportava uno stile di comunicazione moderato, lontano dalla retorica populista. Esso ben si adattava a essere braccio politico delle componenti egemoni nella società. Chiesa e industriali di allora si ritrovavano ben rappresentati da quell’area che faceva (specie quando si trattava di andare alle urne) dell’anticomunismo la sua etichetta politica più evidente. Del resto, a quel tempo il sistema dei due blocchi funzionava a pieno ritmo: un anno dopo la nascita dei dorotei fu eretto il  muro di  Berlino.

Sfasciatasi la DC in virtù di Tangentopoli, da più di venticinque anni la retorica moderata e anticomunista è stata ereditata dal gruppo che ruota attorno all’attuale presidente del consiglio. Vale a dire, essa è stata fatta propria da chi, nel comportamento,  rappresenta la perfetta antitesi del modello doroteo. Il moderatismo ora ha il volto dell’aggressività e del populismo. L’anacronistico anticomunismo va tenuto in piedi non perché sia reale, ma proprio per continuare la finzione di essere legittimi eredi di una palude che si è rivelata, per decenni, un costante bacino di voti. Grazie a quel paravento, un  linguaggio aggressivo riesce a  spacciarsi per moderato: così può pescare sui due versanti. Di fronte a queste esternazioni, la Lega è inquieta perché rischia di essere scavalcata nell’aggressività retorica proprio da chi si autoaccredita di essere moderato. Per rispondere a questa situazione propone l’inedito di  ricorrere, a propria volta, a un discorso moderato.

Per reggere al gioco bisogna essere  dotati  di genio comunicativo. In proposito una componente indispensabile è avere una faccia di bronzo. Quando il suggerimento viene da fuori e non è metabolizzato nelle proprie fibre, la caduta di efficacia è garantita. Per averne conferma è sufficiente rivolgersi alla sig.ra Moratti che si autoproclama erede, per appartenenza  familiare, all’ala moderata e con voce soave pronuncia, sul suono del gong, un’accusa gravissima e infondata nei confronti del suo avversario, candidato, al pari di lei, alla carica di sindaco di Milano. Il disastro comunicativo ha richiesto l’intervento in prima persona del signore di Arcore, l’unico che riesce a rendere retoricamente credibile l’unione tra l’insulto, la calunnia e il moderatismo. Solo lui è in grado di praticare con successo (almeno finora) il paradosso secondo il quale una caratteristica peculiare dei moderati sta nel tirar fuori  unghie feline. Il moderatismo, da versione ipocrita di una mitezza, si è trasformato in un’altrettanto ipocrita, ma contrapposta, aggressività perbenistica.

Alle spalle di tutto ciò, c’è stata una lunga preparazione. Come dimenticare in proposito il calcio? Gli spalti degli stadi sono il luogo in cui gli alti borghesi, senza giacca e cravatta, possono assumere gli stili e l’eloquio popolari pur sedendo in tribuna d’onore e non partecipando a coreografie di massa. Non stupisce, quindi, constatare che il Milan, al pari della TV, sia stato un terreno di allenamento per elaborare uno stile comunicativo che ha il suo tallone d’Achille, peraltro ancora molto difficile da colpire, nel fatto di essere rappresentato, al massimo grado, solo da una persona che, almeno in ciò, non potrà avere eredi.

Lo stile  doroteo  diretto è ormai privo di pregnanza. Per rendersene conto basta vedere l’insignificanza comunicativa dell’attuale presidente della CEI, card. Bagnasco. Smussare gli spigoli sotto un linguaggio levigato e sedicente equilibrato è puro anacronismo comunicativo. In effetti, la nostalgia per il centro e il sogno di Casini neodoroteo sembrano essere le uniche, irrealistiche prospettive politiche che si possono trarre dai discorsi curiali.

Chi frequenta per ragioni politiche i vescovi italiani non di rado porta dentro di sé, più o meno inconsapevolmente, l’inefficace retaggio di questa nostalgia dorotea. L’attuale sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, è un esponente del PD. Veniva dalle fila del Partito popolare. Per tradizione politica  interna non ha nulla a che fare  con i dorotei (anche per ragioni anagrafiche). A partire dal dopoguerra, è comunque il primo cattolico praticante a rivestire la carica di sindaco della città estense. Deve perciò mantenere, per definizione, buoni rapporti con il cattolicesimo ufficiale. La frequentazione della curia ha lasciato le sue tracce nello stile di comunicazione: quando si tratta di avere a che fare con coloro che egli ritiene “potenti”, il suo discorso non è mai incisivo, pretende invece di essere moderato e ragionevole senza essere aggressivo. Diverso il tono quando, invece, si sente attaccato.

Domenica scorsa si è inaugurata a Ferrara la mostra dei progetti architettonici legati al concorso per il futuro museo dell’ebraismo italiano e della Shoah. Salone d’onore del palazzo dei Diamanti gremito. Gli oratori parlano sotto un affresco di Benvenuto Tisi da Garofano violentemente antigiudaico: ai piedi della croce si consuma un vero e proprio assassinio della sinagoga a favore di una trionfante chiesa. Gli oratori lo ignorano, non si sa se per finta o per beata ignoranza. Da ultimo interviene il sindaco. Esordisce dicendo che  la collocazione di quell’affresco non è imputabile al comune (classica escusatio non petita) e che esso rappresenta l’Antico e il Nuovo Testamento, sinagoga e chiesa entrambe, comunque, sotto lo sguardo del Padreterno (in alto sopra lo croce è, in effetti, rappresentato Dio Padre). Privatamente gli si fa notare che il senso dell’affresco è tutt’altro. Lui dice che lo sapeva benissimo: proprio per questo ha adottato quella linea di condotta.

L’episodio è piccolo, ma eloquente. Si poteva ignorare, si poteva, e sarebbe stata la scelta migliore affrontare di petto il problema (non era neppure difficile: un tempo era così, ma ora…); si è deciso di optare per un goffo tentativo di mascheramento. Si è così rivelato uno stile, qui, in sostanza, quasi indolore, ma in altre circostanze preoccupante. Per pacificare i conflitti bisogna riconoscerli, non inventarli («comunisti») o negarli.

Piero Stefani

 

340. Il moderatismo aggressivoultima modifica: 2011-05-14T09:10:00+02:00da piero-stefani
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