289 – La lunga ombra del grande pino (11.04.2010)

Il pensiero della settimana n. 289

  

Molti anni fa una sezione del CAI indisse una concorso fotografico. Il tema era: gli alberi e la montagna. Il redattore del testo, caratterizzato da una vocazione didascalica, fu prodigo di consigli. Tra l’altro affermò: un bosco visto dal vivo è pieno di suggestione, ma è poco predisposto alla resa fotografica; quando si scatta è preferibile rivolgersi a un gruppo ristretto di alberi o addirittura a uno solo.

Il piccolo aneddoto è estendibile ad altri settori. Per tutto il mondo dei mass-media l’individuo, infatti,  è meglio del gruppo; in particolare l’apice è raggiunto quando la singola personalità riassume in se stessa una collettività, come nel caso cui, per rappresentare tutto il bosco, fosse fotografato l’abete più maestoso.

Per  più di ventisei anni  il cattolicesimo a livello di comunicazione di massa ha potuto contare su un grande pino che, agli occhi del mondo, simboleggiava  tutta la Chiesa. In uno dei suoi ultimi anni di vita, Padre Camillo De Piaz, con lo stile spirituale proprio dell’uomo anziano che ha coltivato per tutta la vita la libertà, concesse un’intervista alla televisione svizzera italiana. A proposito di Giovanni Paolo II evocò il Re Sole. Per il papa polacco si sarebbe infatti tentati di dire «l’Eglise c’est moi». La frase, che, in altri contesti, potrebbe suonare dura ed eccessiva, è perfettamente calzante  se collocata nell’ambito della comunicazione. Senza dubbio, la sua personalità carismatica e la sua inarrivabile capacità di compiere gesti spesso inattesi hanno reso Giovanni Paolo II simbolo riassuntivo della Chiesa cattolica.

L’ecclesiologia di Wojtyla, nel suo aspetto teologico, non si conformava a questo modello. La enciclica Ut unum sint parla un altro linguaggio. Tuttavia si tratta di  forme di pensiero non veicolate dai mass-media più pervasivi. Occorre dirlo: l’impatto – non privo di tratti di aggressività (più o meno volontaria) – del «grande comunicatore»  ha favorito all’interno  della Chiesa processi  orientati al «culto della personalità» (si pensi al famoso «santo subito» gridato al funerale), mentre, all’esterno, ha imposto – almeno in Italia – il papa come argomento a cui dedicare le aperture dei telegiornali e le prime pagine dei giornali. I vaticanisti, un tempo  considerati quasi giornalisti da sagrestia, sotto il pontificato globale di Giovanni Paolo II sono divenuti «inviati speciali» (anche nel senso contrattuale del termine).

Morto il pino, il suo cono d’ombra gli sopravvisse. L’attenzione mediatica resta concentrata sul papa, ma con esiti ben diversi. Uno dei modi involontari con cui si misura la estraneità di Benedetto XVI al mondo contemporaneo è il suo impaccio comunicativo. Esso non è programmato; anzi, in certi momenti, Ratzinger getta, sua sponte, uno sguardo privilegiato al mondo dell’immagine. Gli esiti caldeggiati  in queste circostanze sono per lo più legati all’estetica; è il caso della ricercatezza del vestire sia liturgico sia quotidiano (immortalato – si fa per dire – persino nei calendari). Dove invece l’inadeguatezza papale raggiunge, non di rado, il diapason del dramma sta nell’incapacità di Ratzinger – ormai diffusasi a macchia d’olio tra i suoi collaboratori  (p. Cantalamessa compreso) – di non prevedere le reazioni che le sue parole e i suoi gesti hanno nel mondo messamediatico. Colta sotto questa luce, la lectio di Ratisbona resterà cifra perenne dell’attuale pontificato.

Non si tratta di dare ragione ai mezzi di comunicazione e torto al sommo pontefice. È ben chiaro che il modo di presentare (anzi di creare) la realtà da parte dei mass-media è per lo più tendenzioso, scandalistico e in certi casi persecutorio. Rispetto allo stile papale, la constatazione è però una aggravante e non una scusante: quando si va in un paese a rischio di epidemia la profilassi medica esige di vaccinarsi. Bisogna sapere il gioco che si sta giocando e per farlo non basta alimentare l’opposto speculare di una tarda e non libera apologetica ad oltranza o ostentare i sensi di una devota solidarietà.

Anche gli abeti, più piccoli del pino ma pur sempre imponenti, hanno la loro ombra. Si tratta di Navarro Vals e di p. Lombardi. Il primo, allevato alla scuola dell’Opus Dei, faceva parte organica e sintonica della comunicazione wojtyliana. Nella sua lunga carriera, Navarro ha dovuto fornire ben poche smentite e di rado si è impegnato a chiarire fraintendimenti; p. Lombardi è invece costretto a praticare queste ultime procedure come quintessenza stessa del suo compito. Il suo ruolo di portavoce perciò si sta svuotando di significato per un eccesso  di precisazioni post eventum. Si tratta ormai di un rituale fin troppo prevedibile.

Le considerazioni fin qui esposte potevano essere avanzate ormai da tempo; tuttavia in questi ultime settimane il processo ha conosciuto una accelerazione che pare destinata ad assumere contorni più gravi. Sembra che si stia affermando la convinzione di essere davvero soggetti a una vera e propria persecuzione. Il denunciare di essere perseguitati è un noto espediente di molti regimi persecutori (basti  pensare agli stati totalitari); colta sotto questa angolatura  la procedura rientra in un determinato modo di esercitare il potere. Non è il nostro caso. Infatti sembra inevitabile concludere che, nell’attuale cattolicesimo, la sensazione (reale o presunta) di essere perseguitati rimarchi il senso della propria debolezza. Se è così, ci si sta davvero avviando alla decadenza.

   È giunto il tempo di racchiudere in una sola battuta un aspetto qualificante dei due ultimi pontificati: chi di mass- media ferisce, di mass-media perisce.

Piero Stefani

289 – La lunga ombra del grande pino (11.04.2010)ultima modifica: 2010-04-10T17:48:00+02:00da piero-stefani
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2 pensieri su “289 – La lunga ombra del grande pino (11.04.2010)

  1. “Chi di mass- media ferisce, di mass-media perisce”? Ma andiamo … . La Chiesa è sopravvissuta ad Alessandro VI, figuriamoci a Ratzinger. Direi piuttosto: “Oportet ut scandala eveniant”. I problemi della Chiesa non sono certo di tipo mediatico, anche se naturalmente si riverberano anche sui media. I problemi d’immagine della Chiesa riflettono una crisi interna profonda, che l’attuale pontefice deve affrontare a livello sostanziale, con un coraggio che forse non ha, senza curarsi dei sondaggi.

  2. Sopravvissuta ad Alessandro VI? Ma cosa è sopravvissuto: l’Impero Romano. La Chiesa era entrata in coma molto prima, da Costantino in poi… ma adesso si sta svegliando! E quello che le permette di svegliarsi è la rivoluzione dell’immagine, iniziata con la Resurrezione e cresciuta per due millenni fino al Web. Quello che sta accadendo mostra che è impossibile resistere al potere demistificatore della Rete.
    Ora anche in Italia il Vangelo che ha resistito sotterraneo, dissetando invisibile pianure e foreste, impregnando le falde più nascoste, può finamente tornare in superficie… e chiunque ha gli occhi aperti lo vede già ora.

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