Il pensiero della settimana n. 290
Le persone che vivono sotto l’insegna dell’invidia quanto dovrebbe suscitare in loro ammirazione, sono destinate a scambiare ogni saggio consiglio loro rivolto come una specie di offesa personale.
Chi chiama in causa la propria passione per accreditare le proprie competenze, vuole giustificare a se stesso i suoi limiti per poter continuare a fare un passo più lungo della gamba. Nella sfera intellettuale la passione ha la stessa funzione della benzina rispetto al motore: se non c’è tutto si ferma, ma non si va avanti neppure se c’è solo quella.
Lavoro intellettuale. I tempi della crescita personale sono lunghi, in realtà durano tutta la vita. Per ricorrere a un’espressione rubata dalla mistica, per anni si lavora in una specie di «notte oscura». Quando si è nella sincerità, la condizione fa parte della difficile scelta di fondo compiuta «in principio». Poi può avvenire che, all’improvviso o lentamente (a seconda dei casi), si entri nel giro. Qui iniziano altri problemi: si è presi in un vortice difficile da dominare e da cui, al contrario, è molto facile essere dominati. Dopo la notte più che il giorno ci sono le luci della ribalta, per pochi sfolgoranti, per molti intermittenti. Nel mondo d’oggi ai maestri è richiesta una saggezza inedita di cui è molto arduo essere dotati.
C’è lo scrittore «pittore» e lo scrittore «scultore». Il primo parte dagli schizzi e aggiunge; il secondo taglia e dà forma iniziando da una massa sovrabbondante. Si può conseguire l’eccellenza per entrambe le vie; ma è lo «scultore » a conoscere di più cosa significa il rigore e il sacrificio: «Comporre non è difficile, ma è estremamente difficile eliminare le note superflue» (Johannes Brahms).
Nei talk show prevale sempre non chi ha ragione, ma chi è più aggressivo e spregiudicato. Il motivo di ciò l’ha svelato molto tempo fa Manzoni, pensando – beato lui – unicamente alla carta stampata: «le ingiurie hanno un gran vantaggio sui ragionamenti, ed è quello di essere ammesse senza prove da una moltitudine di lettori».
La cultura in Italia oscilla tra due poli: l’anoressia di massa e la bulimia festivaliera delle elite. Solo una pervicace onestà intellettuale riesce ancora (fino a quando?) a dire: tertium datur.
Manager che prospettano il patrimonio artistico-culturale del nostro paese solo come un capitale da far fruttare sul piano economico. Se ci fosse sempre stata quella mentalità, è lapalissiano dirlo, quel patrimonio non sarebbe mai sorto. Esso è nato per tante motivazioni, tra loro anche antitetiche: sperpero, vanità della committenza, senso del bello, disinteresse, ostentazione, opulenza, devozione, narcisismo, volontà di esprimere quanto ci brucia dentro, persino sete di guadagno; ma non è sorto come un patrimonio da far fruttare come un qualsiasi altro investimento. Mai ci si è lasciati guidare da questa massima: investire sul bello per conquistare l’utile. Per molti protagonisti dell’attuale politica culturale italiana il patrimonio artistico non è altro che un’immensa bancarella di souvenir. L’applicazione di questa logica ha un unico esito: accettare l’egemonia del consumo. Alla fine di questo itinerario che altro resta se non l’esaurimento delle risorse?
Il conservatore non ha speranza: per sperare occorre accettare che qualcosa muoia.
In certe persone il sorriso non fa che mettere in maggior evidenza la tristezza indelebile impressa nel fondo dei loro occhi.
Distanza: quando si odono altri parlare come di un loro presente di quello che per te è ormai un passato concluso.
L’etica dell’evoluzione: pensare di fronte a ogni vivente che se non ci fosse lui non ci saremmo neppure noi.
Primavera stagione veloce, inquieta e disseminata di svolte all’indietro: l’effimero è il tarlo interno della bellezza.
Piero Stefani