282 – Creazione e bene comune[1] (14.02.2010)

Il pensiero della settimana, n. 282 

 

Vi è un riferimento biblico che più di ogni altro si iscrive nell’ambito del bene comune.  Esso è, non a caso,  il termine che più ci accomuna.  Quale sia è presto detto: si tratta di adamàh «terra-suolo» da cui deriva Adam. Quest’ultima parola,  lungi dall’indicare un determinato individuo specifico (Adamo), esprime una comune appartenenza alla condizione umana. Non si dà uguaglianza senza radicarsi nella terra che ci sostiene: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, / la quale ne sustenta et governa». Dietro ai versi di Francesco non vi è alcun  riferimento ad antichi miti pagani. La pagina che funge da sottotesto è piuttosto quella iniziale della Bibbia in cui si allude a una fecondità del suolo suscitata al fine di sostentare altri viventi (Gen 1,24).

Qual è la terra abitata e abitabile? La risposta la troviamo in un passo di Isaia volto a presentare la primordiale intenzione del Creatore: «Poiché così dice il Signore, colui che crea i cieli, egli il Dio, plasmatore della terra (arez) e suo facitore, l’ha resa stabile, non l’ha creata informe (tohu), ma l’ha plasmata perché fosse abitata» (Is 45,18). La parola dell’origine dice che Dio quando iniziò l’opera della creazione trovò che la terra era informe (tohu) e vuota (vohu) (Gen 1,2) e quindi del tutto inabitabile. Tra i vari sigilli che contrassegnano il concludersi dell’opera creatrice  alla fine del sesto giorno vi è quello di riempire la terra: dal vuoto al pieno, dal caos desertico all’abitato.

«Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra (arez) e calpestatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1,28). Queste parole contengono il primo ordine dato da Dio all’Adam  creato maschio e femmina e quindi in grado di crescere e di espandersi. Alla terra e agli animali tutti, acquatici e volatili compresi, era già stato rivolta da Dio la parola della fecondità (Gen 1,22.26). Secondo il primo racconto l’esistenza degli animali è perciò sostenuta da quest’ultima (Gen 1, 24-25). In tale contesto appare l’Adam. La sua differenza rispetto agli altri viventi è di venire chiamato all’essere direttamente dalla parola pronunciata da Dio («Facciamo l’uomo…»); il suo sorgere  presuppone  però l’esistenza dell’ambiente che tutti accomuna.

Gli animali terrestri sono stati creati nello stesso giorno, il sesto, in cui compare anche l’Adam. L’uomo viene posto a coronamento dell’opera comune. I due verbi kavash (calpestare) e radah (governare) (Gen 1,28) che caratterizzano l’azione umana rispetto al mondo animale sono stati accusati di favorire un dominio prepotente.  In realtà, essi non sono dotati di un senso di sopraffazione.  Kavash  in questo passo tende semplicemente a indicare l’espandersi dell’uomo sulla faccia della terra, mentre radah può attestare un dominio tanto lontano dalla prepotenza da poter essere impiegato anche per indicare la più giusta e pacifica delle signorie: «Nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà lo shalom, finché non si spenga la luna. E dominerà (verbo, radah) da mare a mare, dal fiume fino ai confini della terra» (Sal 72,7-8).

In virtù di questo senso di comunanza, a uomini e animali è dato concordemente come cibo soltanto quanto proviene dalla sfera vegetale (Gen 1,28). Nel primo racconto della creazione l’uomo compare all’interno di un mondo popolato di animali, i quali rappresentano la primizia dell’opera di Dio e non già la «materia prima» data in pasto all’uomo. Mai come ora la parola antica risulta valida anche per l’oggi: il bene comune non può essere limitato alla sola sfera  umana. Invero, di fronte all’ingiustizia che lacera l’unità del genere umano, un’equa distribuzione delle risorse sembrerebbe già molto e le nostre società ne sono drammaticamente al di sotto; tuttavia la base più autentica si estende anche al di là del  mondo abitato dagli uomini.

Accanto al  primo, vi è un secondo racconto di creazione. Anch’esso mostra, per vie diverse dalle precedenti, l’indissolubile legame tra l’Adam e l’adamàh. La polarità qui è subito evidente: da un lato l’uomo è fatto con la polvere del suolo (adamàh),  mentre dall’altro gli è comandato di custodire e coltivare  il giardino. I custodi del creato sono fatti di polvere impastata dal Signore e animata dal soffio divino. Si diviene in tal modo nefesh chajàh (espressione che si potrebbe tradurre semplicemente con «viventi»), ma con tutto ciò l’Adam resta impastato con l’ adamàh (Gen 2,5.7).

All’origine c’è  l’azione del Signore che pianta il giardino in Eden e vi colloca colui  che aveva plasmato. La provenienza dal suolo è richiamata come una specie di premessa a quanto sarebbe stato svelato dopo, vale a dire il compito di coltivare e custodire il giardino. Tra i due verbi è il secondo a essere il più significativo. In una società di vigilantes come la nostra, la custodia è pensata prima di tutto come una difesa dai pericoli che vengono dall’esterno. La condizione primordiale dell’ambientazione esclude però questa ipotesi: là non vi era da temere alcuna invasione. Lutero, nel suo commento alla Genesi, scrisse che i verbi «lavorare» e «custodire», divenuti ora termini tristi e difficili, allora erano gioco e somma delizia. Tuttavia in questo caso anche il grande riformatore si è fatto risucchiare dentro spazi troppo angusti, infatti esemplifica questo tipo di facilità dicendo che allora all’uomo sarebbe bastato un cenno per mettere in fuga orsi e leoni. In realtà, la custodia qui è altro: non è un difendere ma un prendersi cura (il Deuteronomio – 5, 12 –  usa questo  stesso verbo per l’osservanza del sabato).

La prova avviene per via di contrapposizione; quando l’uomo violò il precetto non fu colpito lui solo, fu maledetto pure il suolo (adamàh) che  cominciò a produrre spine  e cardi. Da allora estrarre il cibo dalla terra divenne fatica. La violazione della custodia  sfocia in una stravolta comunione nella tribolazione. Si è agli antipodi ma, sia pure sub contraria  specie, rimane la presenza di un legame. Vi è un tratto di cui non è facile diminuire l’importanza: nella Bibbia ebraica la parola terra-suolo (adamàh) non è mai qualificata con l’aggettivo possessivo (e per i  primi nove capitoli della Genesi ciò vale anche per il termine terra – arez). Allora il bene e il male erano davvero comuni e forse con un simile riferimento si è nelle condizioni di comprendere una delle fonti del celebre ammonimento di Rousseau rivolto a colui che disse che un pezzetto di terra era suo e trovò altri uomini tanto ingenui dal crederlo (e abbastanza scaltri da imitarlo).

Piero Stefani

 




[1] Anticipo un articolo di prossima pubblicazione sulla rivista Oreundici

282 – Creazione e bene comune[1] (14.02.2010)ultima modifica: 2010-02-13T12:25:00+01:00da piero-stefani
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