«È successo»[1] (21.02.2010)

Il pensiero della settimana, n. 283

 

«È successo». Le due parole evocano un fatto accaduto, un avvenimento che non si propone come esito voluto di una scelta personale. Nessuno sigilla con queste parole le conseguenze desiderate di una propria azione o il frutto benaccetto del proprio operare. Il nudo accostamento di questi due termini evoca la parzialità del controllo umano su quanto sostanzia la nostra vita. Qualcosa è capitato senza che noi lo volessimo. Sono accaduti dei eventi che solo in minima parte dipendono da noi, eppure essi, spesso, ci mutano. Quel che è avvenuto ci cambia consegnandoci a un «dopo» diverso dal «prima».

«È successo». Nella sfera del possibile le componenti negative fanno aggio su quelle positive; perciò, di fronte alla frase che attesta un puro accadere, il primo pensiero si indirizza verso il lato oscuro: subito si ipotizza l’esistenza di una disgrazia, di una lacerazione o di un baratro. Solo di rado il pensiero si rivolge alla possibilità che ci sia stato un barlume di felicità legato, il più delle volte, a un incontro: nell’esistenza umana non è consueto che un accadere imprevisto risponda ai desideri inespressi racchiusi nel nostro cuore.

Secondo gli schemi propri del ragionare filosofico, allorché ci si misura con quanto è avvenuto ci si trova di fronte a una realtà conoscibile solo a posteriori. Qui l’esperienza è tutto. Gli eventi storici o i fatti dell’esistenza precedono la nostra capacità di prevederli in anticipo e di ricondurli, preventivamente, entro schemi consolidati. Nessuno sa davvero a priori come reagirà se succede quel che potrebbe capitare. Un incontro può cambiare una vita; una disgrazia stravolgere per sempre un’esistenza: nell’uno e nell’altro caso i conti si fanno solo dopo. Nessuno è preparato ad affrontare quanto a un tempo è sia imprevisto sia possibile. In quelle circostanze, la modalità di reagire è posta all’incrocio tra la prova dei fatti e la saldezza o la debolezza degli animi.

Le quattro parole «ciò che è stato» indicano la maniera in cui Paul Celan chiamava l’evento che altri definiscono Shoah, Auschwitz, Olocausto, «soluzione finale» o genocidio. L’intensità della qualifica dipende dall’impiegare in modo selettivo quanto vi è di più generico: tutto quel che è avvenuto è stato. Il salto qualitativo sta nel non scegliere un termine specifico per indicare l’evento che, pur essendo unico, condivide con tutto il resto il fatto di essere accaduto. L’adozione di un lessico puramente descrittivo si muta, quindi, in un giudizio di valore più intenso di ogni qualifica carica di deprecazione. Nella sua nudità, «ciò che è stato» segna un discrimine tra un «prima» e un «dopo».

Chi si trova ad abitare nel tempo del «dopo» è sfidato per tutta la sequela dei suoi giorni. Lo è perché non si tratta semplicemente di un «dopo» storico. Quest’ultimo ha luogo sempre e comunque: tutti coloro che aprono gli occhi al mondo hanno alle loro spalle un lunghissimo «prima». Altro è il discorso quando l’accadimento storico lacera le carni di un’esistenza. Allora la dimensione collettiva, lungi dallo scomparire, si coniuga con un vissuto che anela a esprimersi. Il bisogno di raccontare ha questa cellula generativa: arginare l’ineluttabilità di quanto è stato dando corso al desiderio di comunicare qualcosa non inscritto nel puro accadere. La parola tenta di replicare ai fatti. Il linguaggio può non essere all’altezza del compito; ci possono essere silenzi o mutismo, ma in ogni caso non c’è più solo uno spoglio accadere. Lo scacco non è fino in fondo esorcizzato. Tutto può restare chiuso, attorcigliato, inespresso. La comunicazione non di rado abortisce. Malgrado ciò dovrebbe comunque essere precluso sancire a priori la radicale insensatezza di ogni linguaggio del «dopo».

Piero Stefani

 




[1] Riproduco la prima parte della mia prefazione a  Paola Gnani, Scrivere poesie dopo Auschwitz Paul Celan e Theodor  W. Adorno, Giuntina, Firenze 2010. Il libro, presentato alla Biblioteca Ariostea di Ferrara il 18  febbraio, sarà presentato a Milano presso il Centro Culturale S. Fedele il 18 marzo ore 18. La presentazione sarà accompagnate da letture compiute da Ottavia Piccolo.

«È successo»[1] (21.02.2010)ultima modifica: 2010-02-20T12:00:00+01:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo