277 – La rete dell’immaginazione (10.01.2010)

Il pensiero della settimana, n. 277

   

L’immaginazione sembra occupare una posizione intermedia tra la fantasia e la progettazione razionale.  Essa, quindi, condivide la forza e la debolezza di tutto ciò che sta in mezzo. È priva della libertà di muoversi nel modo autonomo proprio della fantasia che plasma il proprio mondo senza essere mai seriamente impegnata a trascriverlo nella realtà. Non ha neppure il sicuro sostegno del progetto che adegua metodicamente le proprie idee alle condizioni stabilite dalla realtà data. L’immaginazione vive in virtù dell’ardimento di adeguare la realtà all’idea. Per questo è creatrice, ma lo è solo se è realistica e non fantastica.

 L’oceano del possibile è ricco di pesci. Essi guizzano qua e là, nuotano veloci nella mente. Qualcuno tra loro si impiglia nella rete. Si comincia perciò a vederne i contorni, a riconoscerne la natura, a giudicare se va mantenuto oppure gettato di nuovo in acqua. A differenza della fantasia, l’immaginazione è critica. Come sa anche il vangelo, l’immagine della rete indica, oltre all’atto di catturare, anche quello di selezionare. Quando l’immaginazione vuole essere creativa non è nelle condizioni di accettare tutto quanto  passa nella testa.

La discriminante è costituita dal confronto tra possibile e reale.  Creare significa far diventare reale il possibile. Il concetto, logicamente incerto, di onnipotenza attribuito a Dio comporterebbe che per lui il possibile divenga realtà a motivo solo di se stesso e della rete che lo raccoglie. Allora ci si può interrogare – come fece Leibniz – sul principio di ragion sufficiente; vale a dire sul perché si sia optato per questa e non per quella possibilità. In questi casi ci si può rifugiare persino nel criterio del meglio. Ma allora l’idea di onnipotenza cade in contraddizione con se stessa. Se Dio avesse creato questo mondo perché è «il migliore dei mondi possibili», egli si sarebbe collocato  in una posizione esposta a facili ironie (come quella celebre del Candido di Voltaire. In effetti, basterebbe una battuta: «Figuriamoci quali sarebbero stati gli altri!»). Ma si può essere anche più logici, dichiarando che lungo questa via  si svuota l’idea stessa di onnipotenza. Dio non può tutto, può tutto quello che è razionalmente  realizzabile, il che rende il suo agire «umano, troppo umano». Più consono allora ripetere con Cartesio (cfr. una lettera scritta a p. Mersenne) che per Dio pensare, volere e creare fanno un tutt’uno.

Strologarsi su quanto Dio può o non può fare è esercizio posto in bilico tra l’immaginazione e la fantasia. In ogni caso si tratta di un gioco puramente speculativo. Quando l’immaginazione umana è creatrice  essa diviene pratica, non teorica. Allora si opera, per così dire, all’interno di un progetto assunto in modo espanso. È così anche perché, in queste circostanze, non si è necessariamente sottoposti al vaglio dell’utile. Quando ci si pone la domanda a cosa serva quel che si produce,  si devono ipotizzare le ricadute  positive e negative di quanto si sta facendo. Si deve cioè calcolare. Non di rado ci si sbaglia. Perciò alla lunga i vantaggi immediati si trasformano in danni. Oppure, ancor più di frequente, ci si trova ficcati in un ambito in cui svantaggi e utilità sono tra loro connessi tanto strettamente che non  è più dato di prenderne uno lasciando cadere l’altro. La nostra epoca dominata dalla tecnica è immersa fino al collo in questa situazione.

L’immaginazione creatrice è obbligata a tener conto più della realizzabilità che  dell’utilità. Per questo essa culmina nella sfera estetica. L’arte si dà quando il reale si conforma al possibile. I pesci guizzano, la rete ne cattura uno. L’occhio lo guarda, lo osserva, lo giudica e tenta di creare uno spicchio di mondo che rifletta i suoi iridescenti colori. Così facendo cerca di fermare la libera mobilità dell’idea tradendola e salvandola a un tempo. Quando si è chiamati a dar realtà al possibile qualcosa si perde. Selezionare non significa solo e comunque tenere il meglio. Una parte va sacrificata in nome della dura esigenza di conformarsi a una realtà (oggettiva, culturale, economica, sociale, personale) che ne limita la realizzabilità. Eppure, anche  attraverso questi filtri, può nascere un prodotto che merita il nome di arte. Quando è grande, diviene una delle realtà che rendono la vita degna di essere vissuta.

Piero Stefani

277 – La rete dell’immaginazione (10.01.2010)ultima modifica: 2010-01-09T14:23:00+01:00da piero-stefani
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