276 – “Abbiamo visto spuntare la sua stella” (03.01.2010)

Il Pensiero della settimana n. 276

 

I magi scrutano il cielo e dichiarano di aver visto spuntare la stella del messia d’Israele. Sole, stelle, luna, alberi e tramonti possono parlare di Dio solo se  li si osserva con un occhio già aperto alla fede. Il Cantico di frate sole comincia a parlare del Signore, altissimo, onnipotente e buono; solo dopo scende alla creature per poi, attraverso esse,  risalire di nuovo a Dio. Guardati in loro stessi, sole, stelle, luna, alberi e tramonti non parlano di Dio; infatti  nessuna di queste realtà, in proprio, è credente. Gli astri non hanno fede, ad averla può essere solo colui che li osserva, ma non lo ha in ragione di quel semplice scrutare. L’esistere delle cose può essere spiegato in maniera diversa dall’appello a un Creatore che si prende cura delle realtà da lui chiamate all’essere.

A lasciare trasparire Dio sono gli esseri umani che con la mite purezza del loro credere e con il loro modo di entrare il relazione con il loro prossimo dischiudono a chi ha l’avventura di incontrarli la prospettiva dell’«oltre». È un evento che avviene di rado nella vita, ma quando capita lascia una traccia profonda. Qualcuno, opportunamente, potrebbe evocare il termine santi.

 La stella per i magi è  segno che li conduce al bambino; ma il messia d’Israele non è subordinato ad alcuna stella. Anche il bimbo, in effetti, non è che un preannuncio: non si crede in un messia bambino. Solo quando Gesù adulto iniziò a predicare il regno, la fede avrebbe cominciato ad avere davvero un suo spazio: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» ( Mc 1,15; cfr.  Mt 4,17). Il verbo credere irrompe solo là. Dei quattro vangeli soltanto due parlano dell’infanzia di Gesù; e in quell’ambito il solo Luca impiega, per due volte, il verbo «credere», una riferita alla non fede nell’annuncio da parte di Zaccaria il padre di Giovanni (Lc 1,20), l’altra per proclamare, attraverso la bocca di Elisabetta (moglie di Zaccaria), la beatitudine di Maria che ha creduto nell’adempimento dell’annuncio  (Lc 1,45). Si crede nella parola e nel suo prossimo compimento. Da allora fino a oggi la fede nel Vangelo si manifesta in questi termini. Si trattò di fede sia per chi annunciò la prima volta il regno sia per coloro che, per primi, ascoltarono l’annuncio e seguirono Gesù lungo le strade della Galilea. I magi vanno da Gesù, ma i discepoli lo seguono.

Le cose, al più, sono segni, non annunci. Il salmista, però,  sembra dirci il contrario «i cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. Il giorno ne affida il racconto e la notte ne trasmette la notizia. Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio» (Sal 19,2-5). In effetti, però, è proprio la parola a rivelarci l’esistenza di quel linguaggio muto. Recitiamo il salmo e guardiamo il cielo, ed è allora che celebriamo il Dio che si prende cura delle proprie creature. Se osserviamo  solo il cielo, al massimo, giungiamo a ipotizzare l’esistenza di una realtà prima posta all’origine di tutto. Non si tratta però di annuncio; quel principio primo, infatti, entra in relazione con il tutto senza prendersi cura delle cose e dei viventi  nel loro singolo esserci .

Tutto il pensiero occidentale dimostra che l’atto di risalire dal mondo a Dio  dipende, in maniera determinante, dai modi in cui si interpreta la natura. La cosmologia in tal caso diviene porta di accesso alla teologia. Data la visione aristotelica del moto, Dio è concepito innanzitutto come causa finale; una volta negata questa concezione fisica e affermatasi la legge della gravitazione universale, per Newton Dio diviene il Pantocratore che tutto domina; e così via fino alle visioni contemporanee in cui fisici-teologici come Polkinghorne ritengono di poter risalire, partendo dall’indeterminatezza quantistica, a un Dio che tutela la libertà delle proprie creature. Quando si percorrono queste strade si giunge, inevitabilmente, a proporre visioni di Dio che, pur avendo la pretesa di poggiarsi su basi salde, proiettano in realtà su di lui gli aspetti contingenti propri dell’indagine fenomenica. In questo senso esse danno comunque di Dio una immagine «falsa e bugiarda».

Il mondo non ci parla di Dio. Al contrario è il Signore che con i suoi segni ci svela il creato. I magi ci comunicano qualcosa della  fede non già quando scrutano il cielo, ma allorché, seguendo la stella,  si mettono in cammino verso occidente.

Piero Stefani

276 – “Abbiamo visto spuntare la sua stella” (03.01.2010)ultima modifica: 2010-01-02T15:38:00+01:00da piero-stefani
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