272 – Abramo il popolo ebraico e gli altri popoli della terra (terza parte)(06.12.09)

Il pensiero della settimana n. 272 

(terza e ultima  parte)[1]

 

La terra verso la quale Abramo riceve l’ordine di incamminarsi è quella stessa in direzione della quale si era mosso Terach. La meta però non gli venne svelata subito. Quando intraprese il viaggio Abramo ignorava che si sarebbe trattato della terra di Canaan. Su         questo punto il Nuovo Testamento e il Midrash non differiscono: «Per fede, Abramo, chiamato da Dio, partì per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava» (Eb 11,8). «Dio non rivelò subito ad Abramo che terra fosse, per renderla più cara ai suoi occhi e per dargli una ricompensa a ogni passo» (Bereshit Rabbà,  39,9). Soltanto quando, dopo aver vagato, giunse a Canaan il patriarca udì dalla voce del Signore le parole che promettevano quella terra alla sua discendenza.

L’uomo di Dio nel suo esserci è benedizione perché indica a un mondo allo sfascio che Dio c’è. Ciò vale per l’epoca di Abramo e per ogni altro tempo. In questa luce egli è sempre anche un monito e un segno di contraddizione. Il testo infatti, prima di affermare che in Abramo saranno benedette tutte le famiglie dell’adamà, introduce una discriminazione  mettendo sulle labbra di Dio queste parole: «Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò» (Gen 12,3).  Racchiusa in pochi versetti sembra esserci una tensione difficile da ricomporre: come tener assieme la presenza di una maledizione con quella di una benedizione universale? Per  quanto non sia risposta piena al problema or ora sollevato ha una sua pertinenza rilevare un particolare linguistico: mentre per la benedizione il verbo è lo stesso  in riferimento sia a Dio sia all’uomo (barakh), per la maledizione le cose stanno in modo leggermente diverso; si fa infatti ricorso a radici verbali che,  per quanto di significato simile,  non sono però identiche (rispettivamente  qll e ’rr) quasi a voler indicare che Dio e l’uomo sono accomunati nella benedizione, mentre, in relazione alla maledizione, vi è la presenza di uno scarto posto tra il divino e l’umano: essa consente di aprire un piccolo varco verso la finale benedizione universale.

Lo spiraglio indicato non è sufficiente. Occorre  trovare strategie più corpose. La tradizione rabbinica commenta il venir meno della distinzione tra maledetti e benedetti – evidenziata dalla benedizione rivolta a tutte le famiglie dell’adamà – affermando che il Signore, rivolgendosi ad Abramo, avrebbe semplicemente detto: «Le piogge verranno per merito tuo» (Bereshit Rabbà  39,12). Più che il riferimento a una ricompensa acquisita dal patriarca, quanto conta è il fatto che le piogge cadano sia sui giusti sia sugli ingiusti (cfr. Mt 5,45). Idea, quest’ultima, pienamente affermata anche dal Talmud il quale giunge a sostenere che una giornata di pioggia è più grande della resurrezione dei morti: «perché questa è per i giusti e non per i malvagi, mentre la pioggia è tanto per i giusti quanto per i malvagi» (b. Taanit,  7a).

   Oltre a quella appena esposta, vi è un’altra linea interpretativa che risulta ancor più convincente. L’espressione  «in  te saranno benedette (nivrekhu  in base all’ebraico può intendersi anche come un riflessivo «in te si benediranno». Vale  a dire i popoli saranno l’un l’altro motivo di benedizione. Quando saranno in grado di uscire dall’arroccamento in se stessi e di accogliersi reciprocamente, i popoli si benediranno nel nome di Abramo e nel nome della comune appartenenza all’adamà. Per contro malediranno Abramo (e quindi saranno in qualche modo maledetti anche loro) quando rendono la propria stanzialità una forma di reciproca discriminazione e di misconoscimento della condizione adamitica che tutti ci accomuna.

Nel momento della chiamata Abramo non parla, ubbidisce, va verso Canaan senza conoscere la meta. Là giunto ode le parole del Signore che promettono alla sua discendenza quella terra. Egli però non esce dal nomadismo. Non a caso subito dopo la Genesi parla di una carestia che costringe il patriarca a scendere in Egitto, paese in cui avrebbe esercitato l’arte ambigua della doppiezza richiesta a chi deve sopravvivere in un mondo rischioso (Gen 12,7-10). In seguito, però. Abramo ritorna a Canaan e lì ode di nuovo la voce divina che promette alla sua discendenza  la terra da lui scorta attraverso l’ampio (ma pur sempre limitato) campo visivo di uno sguardo rivolto verso i quattro punti cardinali. Enorme invece è la promessa riferita ai discendenti che diverranno numerosi come la polvere della terra (Gen 13,14-15). Ci troviamo di fronte a una tensione posta tra la limitatezza del suolo e la miriade dei discendenti. La promessa rivolta alla discendenza di Abramo, in contrasto con ogni  prepotente e violenta teoria del Lebensraum, sta in un accrescersi collocato in una piccola terra. Del resto mai come oggi è dato concludere che l’Israele territorialmente grande è motivo netto e inconfutabile di diminuzione del popolo ebraico. Quell’espansionismo è diventato un motivo per il quale la discendenza di Abramo, in luogo di essere occasioni di benedizione, si è trasformata in ragione di contesa per popoli a cui è negata la capacità di benedirsi reciprocamente.

Piero Stefani

 




[1] Conversazione tenuta nel corso della «Due giorni teologica:  “La Parola di Dio ci interpella: ‘In te saranno benedette tutte le famiglie della terra’ ”»  Messina, 14 novembre 2009.

272 – Abramo il popolo ebraico e gli altri popoli della terra (terza parte)(06.12.09)ultima modifica: 2009-12-05T21:42:00+01:00da piero-stefani
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