273 – I molti volti della paura (13.12.09)

Il pensiero della settimana n. 273 

 

Quando la paura diviene terrore non c’è spazio che per essa. Come si è soliti dire, si è paralizzati o invasi. Come in un recipiente in cui si versa il liquido fino all’orlo, non c’è posto per altro: neppure per il sapere di aver paura. Ciò avviene solo quando il pericolo incombe, è  diretto; è lì, a un tempo davanti e dentro di noi. Per la previsione o l’immaginazione allora non si dischiudono spiragli. Il terrore è un’esperienza su cui non è dato di costruire alcunché.

Il discorso comincia a diventare altro quando si sa di aver paura. Allora inizia a incunearsi la dimensione preventiva. Il timore è frutto di immaginazione: si ha paura di imboccare un sentiero esposto e scosceso, di immergersi in acque profonde, di guidare in un traffico caotico. A essere messo in campo ora è un viscerale senso di inadeguatezza della propria capacità di affrontare la realtà esterna. Esso assume risvolti parzialmente diversi quando dipende da un’azione che altri possono compiere nei nostri confronti. La paura di sostenere un esame ne è un caso tipico, non meno di quella di andare dal dentista.

Vi è una paura che concerne la verità. Essa riguarda per lo più il futuro, ma può volgersi anche verso il passato. Il riferimento si chiarisce subito se, invece di pensare  a un’interrogazione sostenuta davanti a un docente, si considera un esame clinico: si ha paura di sapere che il male paventato ci sta affliggendo per davvero. Certo alla lunga un’incertezza prolungata è peggiore della diagnosi; ma lo è anche perché allora il dubbio e la paura si rinforzano a vicenda. Tuttavia quando la prospettiva è infausta non di rado si finge di non sapere.

Vi è una paura che affonda le proprie radici nel passato. Per lo più essa riguarda l’esterno: si teme che venga scoperto quanto di sordido, disonesto, immorale, illegale si è compiuto. Non è però insolito che questa paura sia anche interna, vale a dire non si voglia ammettere ai propri occhi quel che si è compiuto. Ciò vale sia per l’individuo sia per le collettività. Molta parte del mito di «italiani brava gente» è connesso alla paura di prendere atto degli orrori  da noi compiuti nella nostra storia. Si tratta di paraventi fragili  che, di norma, si ritorcono contro chi cerca di ripararsi alla loro labile ombra (per fare un esempio, lo sbilanciato del trattato stipulato tra l’Italia e la Libia di Gheddafi  non si spiega senza una duplice paura: la prima ha indotto per decenni a tener nascosto il genocidio compiuto dagli italiani in Cirenaica, la seconda  – in gran parte costruita – è quella di essere invasi dall’immigrazione clandestina).

Vi è la paura preventiva, essa dà luogo a progetti e favorisce o inibisce determinati comportamenti. Di solito  assume un aspetto difensivo (o aggressivo). Si teme di essere svaligiati o rapinati e si circondano le case di allarmi, si collocano nel giardino cani feroci, si assoldano vigilantes, si costruiscono aree videosorvegliate. Almeno la diffidenza – se non proprio la paura – nei confronti degli altri sembra assumere ormai lo statuto di virtù civica. Comportamenti sino a non molti anni fa comuni, oggi appaiono remotissimi. È ormai ben difficile scorgere sul ciglio della strada una persona con il pollice alzato. Qualche decina di anni fa in autostop si girava l’Europa, oggi non è un espediente adeguato neppure per andare da una frazione al paese.

Proprio questo tipo di paura è quella più facile da strumentalizzare. Secondo una ben nota visione di filosofia politica, gli uomini costituirono il potere civile proprio a causa dell’insicurezza connessa all’anarchia. Tuttavia, il potere nato dal ragionevole timore  avvertito nei confronti degli altri costituisce autorità titolate, a loro volta, a governare attraverso la paura. L’Italia di oggi è un paese in cui la democrazia sta correndo rischi molto seri, ma non è ancora un paese dittatoriale e ancor meno uno stato totalitario; eppure l’uso strumentale della paura è ben percepibile per chi ha occhi per vedere. Quando la sicurezza è il valore più sbandierato, la manipolazione della paura è risorsa a cui il potere ricorre in modo sistematico.

A volte non si ha paura mentre sarebbe bene averla. Ciò avviene quando non si riesce a cogliere il nesso tra causa ed effetto o si impedisce che gli altri lo scorgano. A differenza del terrore che si para di fronte, qui occorrono molte mediazioni per afferrare le conseguenze di quanto si sta facendo. Può essere strumentalizzata anche la mancanza di timore. Il tenere all’oscuro la popolazione di determinate prospettive è da sempre un modo per esercitare la politica e per dominare l’economia. L’amianto è stato presentato come un utile modo per difendersi dagli incendi e le canne fumarie in eternit erano giudicate un segno di progresso. In principio forse non ci fu un consapevole inganno, ma poi si è volutamente giocato il più a lungo possibile con la non paura della gente. A livello globale ciò vale per le condizioni in cui giace il nostro ecosistema. Solo quando si diffonderà una palpabile paura collettiva, governi e multinazionali (gli stili di vita individuali servono per lo più solo come testimonianza) muteranno davvero i loro modi di fare. Tutto lascia prevedere che, quando ciò avverrà, sarà irrimediabilmente troppo tardi. La paura progettuale potrebbe allora essere sopraffatta dal terrore del «si salvi chi può» (vale a dire: «cerchiamo di porci in salvo noi e lasciamo andare in malora gli altri»). Molti ritengono che le nostre siano società dominate dalla paura; è vero, a patto che si aggiunga che esse sono rette anche dalla mancanza di paura per quel che invece si dovrebbe temere. Se nessuno glielo dice, chi ha gli occhi bendati ignora di camminare sull’orlo del baratro. In società antiche questa funzione era tipica dei profeti, oggi per esercitarla basta essere persone attente e responsabili.

Piero Stefani

 

273 – I molti volti della paura (13.12.09)ultima modifica: 2009-12-12T17:02:00+01:00da piero-stefani
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