264 – Alla ricerca della scatola perduta (11.10.09)

Il pensiero della settimana, n. 264 

 

Una vecchia immagine, quando gli schermi piatti erano di là da venire, paragonava il televisore (chiamato da tutti però televisione) a una scatola. Quanto ha fatto la fortuna di questa similitudine non era solo la forma dell’apparecchio. Vi erano altre suggestioni: una scatola chiusa non svela il proprio contenuto, un televisore spento  è un ingombrante soprammobile; l’apertura della prima può riservare sorprese, l’accensione del secondo porta in casa immagini dal mondo esterno. La moltiplicazione dei canali televisivi è andata di pari passo con l’assottigliarsi degli apparecchi. L’uno e l’altro fattore hanno reso via via improponibile evocare una scatola. Nessun contenitore fisico – neppure quello del prestigiatore – è in grado di ospitare dentro di sé tutto;  la televisione  ora sì: è un flusso continuo 24 ore su 24. Anche quando nella propria casa è spenta si sa comunque che quell’universo continua a girare. Chi non guarda la televisione è quindi fuori dal mondo. Come internet, essa è diventata sempre meno uno specchio di qualcos’altro e sempre più universo in se stessa dove c’è  «di tutto e di più».

Non si è necessariamente sopraffatti; in quegli oceani si può appunto navigare, anche con una certa sapienza e utilità. Ma la questione  non è questa. Diviene infatti sempre più vero che quanto avviene al di fuori dello schermo è, assai spesso, tale perché predisposto a diventare un fatto televisivo. La situazione è confrontabile a quella di una persona che si  mettesse davanti allo specchio non per pettinarsi, farsi la barba o truccarsi gli occhi, ma per il solo scopo di riempirlo di immagini. Il mezzo diventa il fine. La televisione perciò non ha più contenuti, in quanto li crea senza posa. Il «cattivo infinito» di hegeliana memoria più che al pensiero di Fichte va riferito ormai alla televisione (e a internet): si è di fronte a flussi continui e crescenti che non riposano mai in una sintesi.

L’avvenimento è la trasmissione stessa che, non per nulla, viene fatta oggetto di indagine e polemiche come se essa stessa fosse la realtà prima. Si pensi al caso, recente, di  Anno zero e al processo pseudocatartico da esso innescato in milioni di spettatori, i quali,  presi da un’inconsistente fregola critica, potevano, in sol colpo, scandalizzarsi del «marciume», compiacersi di esso e invidiarlo. È, quindi, non un accidente, ma «segno dei tempi» che in Italia il «signore delle televisioni» sia diventato un presidente del consiglio deciso, fino all’ultimo, a far appello a una legittimazione popolare frutto di un consenso costruito, in massima parte, via etere. È davvero poco probabile che nasca il detto: chi di televisione colpisce di televisione perisce. Al più potrebbe morire lui, ma non il suo stile.

A nessuno perciò è più concesso di paragonare la televisione a una scatola. Altra cosa è un libro. Lo si evoca qui non per riproporre, in modo nostalgico, un mondo perduto. Non sono più i tempi in cui Groucho Marx poteva giudicare la televisione uno strumento molto educativo, infatti «ogni volta che qualcuno l’accende vado in un’altra stanza e leggo un libro». Il riferimento può essere chiamato in causa perché il libro è tuttora, per sua intrinseca natura, una scatola fatta di tre pareti e non di sei. Copertine e dorso racchiudono un contenuto definito: esattamente quanto è stato messo loro dentro. Quando si apre  un libro si trova – proprio come in una scatola –  quello che qualcuno vi ha introdotto, nulla più e nulla meno. Ciò di per sé non garantisce alcuna qualità particolare. Anzi. il contenuto può essere di pessima qualità, ma è sempre e comunque un contenuto.

Per la sua ininterrotta vitalità che si automoltiplica all’infinito la televisione è non umana: essa non conosce decadenza e sopravvive a ogni perdita. Una sorte differente  è riservata a coloro che con la televisione si sono identificati ma che, diversamente da essa, restano legati alla finitezza della condizione umana: oggi si pensa a Mike Bongiorno, mentre, in un non remotissimo domani, sarà il turno di Silvio Berlusconi. La televisione non è paragonabile alla vita umana. Il libro invece sì. A Paul Valéry si deve questo sapiente, ironico detto: «I libri hanno gli stessi nemici dell’uomo: il fuoco, l’umidità, il tempo e il proprio contenuto».

Sì, molti dei contenuti racchiusi in noi non sono belli. Essere in pace con se stessi è impresa alta della vita che può venir posta in discussione fino all’ultimo. Tuttavia in noi almeno contenuti – anche se conflittuali – ci sono e sono limitati. Come in una scatola essi possono riservare sorprese piacevoli o non di rado anche spiacevoli; ma a essi, grazie al cielo, non è concesso di presentarsi come un ininterrotto fluire che tutto attraversa senza essere mai raccolto da qualche parte, facendo balenare almeno una speranza di pace.

Piero Stefani

264 – Alla ricerca della scatola perduta (11.10.09)ultima modifica: 2009-10-10T09:49:00+02:00da piero-stefani
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