265 – Conversando con Ottavia Piccolo su teatro e “cose ebraiche” (18.10.09)

Il pensiero della settimana, n. 265

  

Quest’anno la compagnia «La contemporanea» continua a portare in giro per l’Italia uno spettacolo del giovane e talentuoso autore teatrale fiorentino Stefano Massini. Il suo titolo è già un programma, La commedia di Candido. Ovvero avventure teatrali di una gran donna, tre grandi e un gran libro (con tutto lo scompiglio che seguì).  La «gran donna» è portata in scena da una grande attrice: Ottavia Piccolo. I tre grandi, Diderot, Rousseau e Voltaire, sono impersonati, in modo straordinario, da uno stesso attore: il versatile Vittorio Viviani. Il grande-piccolo libro è, come ben si immagina, Il Candido.

 

Signora Piccolo, lo spettacolo fa ridere e fa pensare: una bella sintesi, non c’è che dire. Il suo messaggio mi pare consista nella volontà di rappresentare, in modo aggiornato, quanto gli illuministi denunciavano attraverso il termine «fanatismo» e propugnavano con la parola «tolleranza»: è così?

 

Sì, è una grande soddisfazione, specie in questi tempi, vedere gli spettatori ridere e poi farli pensare. Una sintesi, come dice lei bella, innanzitutto perché rifugge dalla volgarità, dimensione a cui, purtroppo, al giorno d’oggi è sempre più associato il comico, che sta morendo proprio per questo.

 

Tuttavia, specie pensando a «cose ebraiche»,  la tolleranza degli illuministi aveva dei forti chiaroscuri. Il terzo volume della classica opera di Léon Poliakov, Storia dell’antisemitismo si intitola Da Voltaire a Wagner. I modi in cui  allora si affermava la tolleranza più volte hanno corso il rischio di collocare  gli ebrei dalla parte dell’oscurantismo e del fanatismo.

 

Certo i tempi sono cambiati. Oggi la parola «tolleranza» non basta più;  occorre usare altri linguaggi ed espressioni del tipo «accoglienza reciproca delle diversità». Ben sapendo che non son tutte rose e fiori e i problemi ci sono. In ogni caso la denuncia del fanatismo, detto con questo o altri termini, rimane, ahimè, di strettissima attualità.

 

Gli illuministi, con la loro volontà di creare un’opinione pubblica e di squarciare il velo di molte omertà, sono stati una specie di prototipi del grande giornalismo. So che è un tema che le è caro.

 

È proprio così. Da un paio d’anni porto in giro anche un altro pezzo teatrale di Stefano Massini, Donna non rieducabile dedicato ad Anna Politkovskaja la giornalista russa assassinata nell’ottobre del 2006. Fu uccisa per il delitto di aver detto pubblicamente la verità. Adesso è uscito anche il  libro con il video (S. Massini, Anna Politovskaja con dvd, Il sangue e la neve, Promo music, Bologna 2009). Il titolo costituisce  anche in questo caso un messaggio: bisogna educare tutti,  specie i giovani, a resistere a chi vuole rieducarci togliendoci la libertà di critica e occultando la verità. Ciò, in maniera più o meno forte, vale a ogni longitudine e latitudine. Possono suonare parole retoriche, ma resta, comunque, vero che la libertà di stampa è un valore davvero universale, da difendere a tutti i costi.

 

In una testata come Pagine ebraiche  non possiamo non riandare a un suo precedente spettacolo, questa volta davvero drammatico, Processo a Dio sempre di Stefano Massini. Recitandolo lei ha portato in scena per più di duecento volte la figura immaginaria di Elga Firsch, l’attrice di Francoforte che, nei capannoni di Maidanek, all’indomani della liberazione, processa Dio per quello che è successo al suo popolo.  Cosa ci dice di quella esperienza?

 

Non la si dimentica facilmente. Ricordo che la gente dapprima si sorprendeva quando, vedendomi alla fine dello spettacolo, mi coglieva allegra ed estroversa. Ma poi, ben presto,  tutti si accorgevano che  ciò avveniva per scaricare la tensione.

Da qualche anno ho deciso di non portare più in scena i grandi classici, che tutti conoscono, ma di dar voce a personaggi contemporanei legati ai drammi reali di questo nostro mondo. Ho così assunto il ruolo della moglie di un desaparecido argentino (Buenos Aires non finisce mai di Vito Biolchini ed Elio Turno Arthemalle). A partire da una serie di conversazioni  tra Silvano Piccardi e Manuela Dviri è nato uno spettacolo teatrale, Terra di latte miele[2] ambientato a Tel Aviv. Manuela ha avuto un figlio ucciso in Libano e in Israele è conosciuta soprattutto per il suo impegno a favore della pace. Poi è stata la volta di Processo a Dio. Massini aveva pensato a me quando stava scrivendo questo dramma sulla Shoah.

 

 Ci sono stati altri incontri?

A volte ho pensato anche all’esistenza dei sopravvissuti reali. Proprio mentre, nel 2006, stavo preparando lo spettacolo, ho scoperto la straordinaria figura di Liana Millu (cfr. Il fumo di Birkenau e Tagebuch. Il diario del ritorno dal Lager entrambi editi dalla Giuntina, Firenze ), una donna che, da allora, mi è entrata nell’anima. Per me è un rammarico non averla potuta incontrare di persona, eppure è morta solo nel 2005;  avrei potuto, ma la vita di tutti noi è fatta di incontri e di mancati incontri… So che adesso l’originale Tagebuch – questo diario scritto a matita da Liana, in presa diretta, dal maggio 1945 al primo settembre di quell’anno quando varcò il confine italiano –  sarà esposto nel futuro Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. Spero che il vederlo provochi in molti un’autentica emozione. In me le pagine di Liana hanno trasmesso un senso profondo di umanità  che ha fatto, per così dire, da contrappeso alla sdegnata durezza incarnata dalla figura di Elga Firsch. Chissà,  forse un giorno porterò in scena qualcosa ispirato dai suoi scritti.

I reduci dalla Shoah dicono che non possono pensarci sempre, altrimenti, non solo impazzirebbero, ma negherebbero quella vita a cui sono tanto legati proprio per la loro volontà di non dare partita vinta al male. Qualcosa del genere lo fa anche l’attore. Rappresenta le tragedie per dire che nel mondo reale ci sono, ma anche per affermare che non ci sono solo quelle. Insomma, fino a quando si possono recitare drammi non esistono solo drammi. O meglio ancora, essi non devono toglierci la capacità e il gusto di vivere senza però disperderci nella banalità. Come dire, mi sembra che rispetto al teatro civile questa sia una specie di variante della teoria aristotelica della catarsi. La tragedia greca rappresentava l’intreccio funesto delle passioni perché lo spettatore se ne liberasse; noi mettiamo in scena la Shoah perché la gente non se ne dimentichi, ma anche perché impari di nuovo ad amare, non so come dire, in modo più vivo la vita in tutti i suoi chiaroscuri. L’impegno civile, di cui oggi c’è tanto bisogno, fa parte del chiaro.

 

Non so se posso farle quest’altra domanda dal carattere molto personale: questo suo dar voce, gesti e volto ad accusare Dio sulla scena ha avuto qualche ricaduta sul suo modo personale di pensare a Lui? Nella teologia cristiana, sa, circola un folgorante detto latino che suona così: «Nihil contra Deum, nisi Deus ipse».

 

Non sono, né mi sono mai considerata, una pensatrice e sono perciò incapace di proporle, a questo riguardo,  rielaborazioni concettuali. Non sono credente. Colte sotto questo punto di vista, le tante recite di Processo a Dio non hanno mutato nulla in me. Il fatto di non aderire di persona alla fede, non significa però che non percepisca la ricchezza umana e spirituale di alcuni credenti i quali ci aiutano a trovare nella vita spazi di riflessione e di senso. Tornando al detto latino da lei proposto, ritengo che qualche spazio debba essere concesso anche alla componente umana.

 

Nihil contra Deum nisi homo ipse?

Forse,  e penso soprattutto al dolore degli innocenti.

Ma per chiudere con un tono più ebraicamente ironico, che, come al solito, fa pensare, vorrei proporle alcune battute  lette nell’ultimo libro di Arrigo Levi: «Quello di essere puniti era, si fa per dire, un privilegio dovuto al fatto che il Signore Iddio si occupava in modo del tutto speciale  degli uomini che aveva creato a sua immagine e somiglianza; e fra tutti gli uomini, in particolar modo, di quel discendente diretto di Noè che era Abramo, che si permetteva di poter discutere con Lui di quello che era giusto o ingiusto. Noi, discendenti di Abramo, continuiamo a godere di questa attenzione del tutto particolare, anche se il perché di tante punizioni inflitte nel corso della storia non ci è affatto chiaro. Forse talvolta il Signore Iddio si sbaglia, punisce gli innocenti invece dei malvagi: è un dubbio che avevano già avuto i profeti, e Giobbe» (A. Levi, Un paese non basta, il Mulino, Bologna 2009, pp. 205-206).

 A cura di Piero Stefani

 

 




[1] Anticipo un’intervista che apparirà in uno dei prossimi numeri. del neonato mensile dell’UCEI Pagine ebraiche.

[2]  In seguito è uscito il libro di Vita nella  terra di latte e miele, Ponte alle Grazie, Milano 2004

265 – Conversando con Ottavia Piccolo su teatro e “cose ebraiche” (18.10.09)ultima modifica: 2009-10-17T09:04:00+02:00da piero-stefani
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “265 – Conversando con Ottavia Piccolo su teatro e “cose ebraiche” (18.10.09)

  1. Ottavia Piccolo e un’attrice dotata di una volontà e un talento che non si può mettere in dubbio, semplicemente perché lo ha dimostrato tante volte, il tempo non perdona nulla, penso di passare per l’Italia, sarà l’occasione di rinfrescare la lingua che m’incanta.

I commenti sono chiusi.